Benvenuto nel Blog della LES

Ciao, sono il papà di una ragazza alla quale, nel 2002, è stata diagnosticato il Lupus Eritematoso Sistemico (LES). Con questo blog spero di potere aiutare qualcuno che sta attraversando questa brutta esperienza cercando di supportarlo, per quanto mi è possibile, a superare le difficoltà quotidiane e burocratiche che ho già dovuto affrontare io in passato. Un augurio di cuore a tutti. Se qualcuno vuole contattarmi direttamente può utilizzare l'indirizzo pepo1405@libero.it

Le informazioni fornite sono a scopo divulgativo e non intendono in alcun caso sostituire le indicazioni che possono essere ottenute direttamente da un medico che valuti il singolo caso. Inoltre le indicazioni relative a farmaci, procedure mediche o terapie in genere hanno un fine unicamente illustrativo e non possono sostituirsi alla prescrizione di un medico.

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giovedì 29 aprile 2010

LE MANIFESTAZIONI GENERALI DELLA MALATTIA

Accanto alle manifestazioni dovute al coinvolgimento dei vari organi (pelle, articolazioni, rene, etc.), i pazienti affetti da LES possono presentare alcuni disturbi generali come stanchezza, febbre, mancanza di appetito, perdita o aumento di peso e mal di testa (cefalea). La stanchezza consiste nella perdita della forza fisica, del vigore fisico, cui generalmente consegue una ridotta resistenza alla fatica. La stanchezza di per sé non è un fenomeno patologico, ma è una reazione normale, fisiologica ad un carico eccessivo di lavoro fisico o psichico. Il nostro organismo ci avverte che abbiamo esagerato, che dobbiamo riposarci e, infatti, dopo il riposo, generalmente la stanchezza si risolve. La stanchezza diventa un fenomeno patologico, anormale, quando non è in relazione con un carico di lavoro e non si risolve con un periodo di riposo adeguato. La stanchezza la possiamo suddividere in:

Stanchezza Fisiologica = sensazione normale

• sempre in relazione con attività fisica o psichica

• si risolve con il riposo

Stanchezza Patologica = sintomo clinico = astenia

• non sempre in relazione con attività fisica o psichica

• non si risolve con il riposo

La stanchezza “patologica“ è molto frequente in corso di LES e comporta spesso nei pazienti incapacità a compiere le proprie attività quotidiane. Questa inabilità, oltre a determinare un peggioramento della qualità della vita della persona colpita, comporta anche un aumento dei costi sociali per la comunità. In uno studio americano è stato calcolato che ogni anno negli USA si spende un miliardo di dollari per visite ed esami diagnostici eseguiti per questo disturbo. A questa cifra devono poi essere aggiunte le spese per farmaci ed altri interventi terapeutici e i costi indiretti, che derivano dalla perdita di giornate lavorative. Il peggioramento della qualità della vita è dovuto alla riduzione dell’attività fisica in generale e dell’attività lavorativa, alla compromissione della vita sociale e talvolta anche di quella affettiva. Nonostante le dimensioni del problema siano cospicue, la stanchezza è una delle manifestazioni del LES meno studiate e meno conosciute. È stato rilevato che il 76% dei malati di LES, osservati in diversi studi, presentava stanchezza che risultava correlata

al grado di attività della malattia ed ai disturbi depressivi. La stanchezza nel LES può essere dovuta a cause sia fisiche che psicologiche. Le cause fisiche sono numerose e vengono generalmente riconosciute tramite visite, esami del sangue, indagini strumentali. È ad esempio molto comune che i pazienti con malattia in fase attiva si sentano stanchi. Le cause psicologiche sono rappresentate non tanto da malattie psichiatriche vere e proprie, quanto da un disagio psicologico che è molto comune nel LES e che nella maggior parte dei casi insorge come “ reazione” al fatto di sapere di essere affetti da una malattia cronica. La stanchezza, quando è dovuta all’attività della malattia, si accompagna sempre ad altri sintomi e ad alterazioni dei valori degli esami bioumorali. Se invece è isolata, senza altri sintomi di malattia o alterazioni negli esami del sangue, è probabile che essa sia dovuta ad una causa psicologica. Alcune cause di stanchezza nel LES possono essere:

· Attività del LES Depressione

· Anemia Disturbi del sonno

· Ipotiroidismo Fibromialgia

· Infezioni

· Alterazioni elettrolitiche

o ipopotassiemia

o ipomagnesemia

· Debolezza muscolare

o post-infiammatoria

o da disuso

· Farmaci

Se la stanchezza è dovuta ad una riacutizzazione della malattia la cura è farmacologica e consiste nella terapia del LES. Qualora sia dovuta ad altri motivi coinciderà con la terapia delle cause scatenanti. In ogni caso è bene seguire delle misure di carattere generale, come evitare il fumo di sigaretta, gli alcolici, gli sforzi fisici, ma anche il riposo eccessivo che indebolisce i muscoli. È molto importante seguire una dieta adeguata, alternare correttamente periodi di lavoro con periodi di riposo e svolgere attività fisica aerobica con regolarità.

Per attività fisica aerobica si intende l’esercizio fisico che si svolge senza andare in debito di ossigeno, cioè senza che venga il “fiatone”. Sono molto indicate alcune attività come camminare, andare in bicicletta, nuotare, correre lentamente. Da uno studio è emerso che i malati di LES, che soffrono di stanchezza, hanno una ridotta capacità di eseguire esercizi fisici aerobici; dopo otto settimane di attività aerobica si osserva un miglioramento nelle capacità di eseguire questi esercizi e una diminuzione della stanchezza. Se la causa della stanchezza è la depressione, sarà necessario un trattamento specifico. Talvolta la consapevolezza di essere affetto da una malattia cronica che comporta dei cambiamenti delle abitudini di vita sia sociale che personale determina nei pazienti la comparsa di disturbi depressivi che possono essere trattati con farmaci antidepressivi, ma anche con l’intervento dello psicologo. La febbre può essere considerata come un aumento della temperatura corporea che supera le normali variazioni che avvengono nel corso della giornata (circadiane). È dovuta ad un alterazione del centro termoregolatore (struttura anatomica posta nell’ipotalamo). In condizioni normali la temperatura corporea viene mantenuta costante nonostante le

modificazioni dell’ambiente esterno, grazie alla capacità del centro termoregolatore di controbilanciare la produzione di calore da parte dei tessuti, soprattutto muscolare ed epatico attraverso la dispersione del calore stesso. In caso di febbre questo equilibrio si sposta verso una ridotta dispersione del calore favorendo l’aumento della temperatura corporea. La febbre è un manifestazione comune nel corso della malattia e secondo uno studio europeo può rappresentare il sintomo d’esordio nel 52% dei casi. Generalmente si tratta di una febbre moderata, inferiore a 38° C, definita anche “febbricola”, senza una curva termica caratteristica; anche se in qualche caso può essere elevata e associata a brividi. Le cause di febbre nei pazienti con LES possono essere distinte in 3 gruppi:

1) l’attività della malattia;

2) le infezioni da germi opportunisti; in particolare, le infezioni che coinvolgono l’apparato urinario e respiratorio;

3) altre cause. Uno studio del “National Institutes of Health” di Bethesda (USA) ha mostrato che su 106 pazienti con LES, 63 (38%) avevano presentato episodi febbrili nel corso della loro malattia: di questi il 60% era secondario all’attività di malattia, il 23% era dovuto ad una infezione sovrapposta (di origine batterica nella metà dei casi) e solo il 17% poteva essere attribuito ad altre cause (postoperatorio e reazioni avverse a farmaci). Identificare la causa dell’aumento della temperatura è fondamentale per una corretta impostazione della terapia.

Se la febbre rappresenta l’esordio della malattia, essa si associa generalmente ad altri sintomi caratteristici del LES (per esempio dolori articolari, pericardite, sensibilità ai raggi ultravioletti, etc.) che indirizzano il medico verso la diagnosi di lupus. Prima di formulare la diagnosi di certezza, però, è importante escludere le altre possibili cause di febbre: infezioni, altre malattie autoimmuni (tiroiditi), neoplasie, etc. La febbre può poi essere espressione della riacutizzazione della malattia. In questi casi bisogna pensare ai possibili fattori scatenanti. Tra questi dobbiamo considerare la mancata risposta alla terapia, l’assunzione di farmaci induttori e l’esposizione a raggi ultravioletti. I pazienti con LES devono evitare di esporsi al sole, perché tra i fattori maggiormente implicati nello scatenare l’esordio o la riacutizzazione della malattia ci sono proprio i

raggi ultravioletti. Il paziente deve essere informato della necessità di evitare l’esposizione al sole oppure di utilizzare, quando ciò non è possibile e le radiazioni solari sono molto intense (specialmente nei paesi del Centro-Sud), il cappello, le creme protettive e le camicie con le maniche lunghe. L’esposizione volontaria ai raggi solari durante i soggiorni estivi al mare dovrebbe avvenire solo con il consenso del medico di fiducia, in genere dopo le 17.00 o alle prime ore del mattino. Esistono degli esami di laboratorio che ci permettono di distinguere una febbre dovuta al LES da quella secondaria ad un processo infettivo. Un aumento del numero dei globuli bianchi ed in particolare della percentuale di neutrofili associato ad un incremento della proteina C reattiva (PCR), senza variazioni nei livelli di anti-DNA nativo sono tutti elementi che fanno sospettare un’infezione e suggeriscono il ricorso ad uno studio microbiologico mirato, come il tampone faringeo o l’urocultura. Gli anticorpi anti-DNA nativo sono autoanticorpi, cioè anticorpi diretti verso i nuclei delle cellule dello stesso organismo che li ha prodotti. Essendo caratteristici del LES, hanno un ruolo importante nella diagnosi di malattia e nel monitorare la risposta terapeutica. Elevati livelli di questi anticorpi suggeriscono

una riacutizzazione del LES aiutandoci a distinguere la febbre lupica da quella dovuta ad altre cause (infezione).

venerdì 23 aprile 2010

FATTORI GENETICI NEL LES

La predisposizione genetica è molto importante in molte malattie reumatiche. Tuttavia
il contributo dei fattori genetici non è sufficiente per lo sviluppo della malattia, ed è indispensabile l’intervento di altri fattorispesso provenienti dall’ambiente, quali virus, altri microorganismi, agenti chimici, fisici e farmaci. Per questo
motivo, gli individui che possiedono un corredo genetico predisponente, nella maggior
parte dei casi non si ammalano. I fattori genetici in definitiva sono permettolo solo l'eventuale acclamazione della malattia ed identificano i soggetti a rischio di malattie che, fortunatamente, non sempre si sviluppano. È noto che i fattori genetici sono molto importanti nel favorire l’insorgenza del LES. Questa convinzione scaturisce da varie considerazioni:
1) Esiste una familiarità della malattia: mentre la frequenza del LES nella popolazione generale è di circa 10 casi ogni 100.000 persone (0.01%), nei parenti di persone affette da LES questa è circa 100 volte maggiore, compresa fra 0.4% e 5%. Nel sangue dei parenti sani di soggetti affetti da LES è inoltre possibile riscontrare varie anomalie tipiche della malattia, quali la positività degli anticorpi antinucleo (ANA) e l’incremento delle gammaglobuline.
2) I gemelli identici (monozigoti), che hanno corredi genetici perfettamente uguali,
hanno una concordanza di malattia molto maggiore rispetto ai gemelli non identici (eterozigoti), che hanno corredi genetici solo in parte uguali. Nei primi, la possibilità che entrambi si ammalino è circa del 25%, mentre nei gemelli non
identici la frequenza del LES è simile a quella riscontrabile nei familiari dei soggetti affetti dalla malattia.
3) La malattia è più frequente o più grave in alcuni gruppi etnici. Ad esempio, gli Afro-Americani sono colpiti tre volte di più rispetto alla popolazione americana considerata nel suo insieme. Alcune tribù di Indiani americani presentano una frequenza molto elevata della malattia. Il sesso femminile è colpito dal LES molto più spesso di quello maschile (su dieci soggetti con LES, in media nove sono di sesso femminile). Le popolazioni asiatiche tendono ad avere una malattia più grave di quelle di origine europea.
4) Modelli animali dimostrano che alcune varietà di topi, geneticamente molto simili
tra loro, vengono invariabilmente colpite da una malattia che ha caratteristiche comuni al LES dell’uomo.
Tutti questi dati fanno capire come siano importanti i fattori genetici nel LES. È bene ribadire che la predisposizione ad ammalare di LES non è legata ad un singolo fattore genetico, ma a molti geni. Poichè il LES è una malattia autoimmune, è logico ipotizzare che almeno alcuni dei geni predisponenti debbano essere ricercati fra quelli che regolano la risposta immunitaria nell’uomo. La malattia è in parte condizionata dalla presenza, nel corredo genetico, di particolari geni o di particolari varianti dei geni che contengono l’informazione per la produzione
dei fattori del complemento. La fertilità delle donne con LES non sembra molto diversa dal normale, anche se esse hanno una maggior tendenza, rispetto alle donne sane, ad avere aborti spontanei, morti intrauterine del feto e nascite pretermine. Va ricordato inoltre, che la gravidanza può condurre ad un aggravamento della malattia o ad una sua ripresa. A questo proposito bisogna tenere conto delle condizioni della paziente. In linea generale, la gravidanza va sconsigliata
nei casi in cui la malattia sia molto “attiva”, mentre può essere affrontata nei casi
in cui non sono presenti sintomi importanti. La decisione, comunque delicata, va presa in collaborazione con lo specialista reumatologo curante. Si può inoltre affermare che non esiste alcuna indagine in grado di prevedere se un soggetto avrà o no il LES. Gli autoanticorpi, come già detto, possono essere presenti nel sangue
di soggetti perfettamente normali e ciò avviene con una certa frequenza nei familiari di malati di LES. Allo stesso modo, la tipizzazione dei geni non fornisce alcuna indicazione in merito alla possibile comparsa futura del LES in un soggetto al momento sano. Infatti, l’eventuale riscontro di geni cosiddetti “predisponenti” non indica che quel soggetto avrà il LES, così come il mancato riscontro di tali geni “predisponenti” non pone al riparo dalla possibilità di avere il LES. È pertanto inutile, ed anche dannoso in quanto fonte di inutili ansie, sottoporre i propri figli a continui esami allo scopo di cercare di prevedere il futuro. Al contrario, nel caso in cui compaiano sintomi potenzialmente dovuti al LES, sarà
compito del medico formulare una diagnosi quanto più possibile precoce, allo scopo di
curare tempestivamente il paziente. La prognosi del LES è infatti oggi molto più favorevole rispetto al passato, grazie alla diagnosi precoce ed alle terapie efficaci di cui si dispone. Si può quindi affermare che il LES è una malattia condizionata da vari fattori genetici.Alcuni di essi sono stati identificati, mentre sono in corso ricerche per individuare quelli ancora sconosciuti. Da queste ci si aspetta di comprendere con chiarezza qual è il corredo genetico che predispone al LES, il che consentirebbe di individuare con maggiore precisione chi è a rischio di ammalarsi, aprendo la possibilità a futuri trattamenti di manipolazione genetica che consentano di sostituire i geni predisponenti con altri che non danno predisposizione alla malattia.

martedì 13 aprile 2010

Reni e LES

Nel corso della malattia dal 50 al 75% dei pazienti può andare incontro a coinvolgimento renale. La maggior parte delle volte si tratta di un interessamento minimo, senza rilievo clinico (microematuria o proteinuria lieve). In alcuni casi i reni possono essere aggrediti con conseguenze potenzialmente gravi. E' quindi necessario che le persone con LES siano periodicamente sottoposte ad esami di laboratorio che, oltre agli altri parametri indicatori di malattia, tengano sotto controllo la funzione renale.
Una nefrite lupica avanzata è caratterizzata da alterazioni specifiche di laboratorio, tra cui la più importante è la proteinuria, che può raggiungere livelli di oltre 3 grammi nelle 24 ore, e un quadro sintomatico tipico che prende il nome di sindrome nefrosica. I pazienti possono presentare gonfiore agli arti inferiori, accompagnato da anomalie negli esami del sangue che riguardano l’assetto proteico, il colesterolo e soprattutto la creatinina.
Sebbene rara, la forma più rilevante, per velocità di progressione ed entità del danno, è la glomerulonefrite rapidamente progressiva in cui l’insufficienza renale tende ad evolvere molto velocemente.

SINTOMI

Per i pazienti con patologia renale in corso di lupus la manifestazione clinica più importante è rappresentata dagli edemi, cioè gonfiore delle gambe, a causa dell'accumulo di liquido che per una serie di meccanismi tende a depositarsi in sedi anomale. Gli edemi spesso sono raccolti nelle parti declivi, ma al mattino capita che si spostino in alto ridistribuendosi (es palpebre gonfie). In fase iniziale di malattia renale non ci sono sintomi e il solo modo di individuare un problema incipiente consiste nell’effettuare esami regolari.

ESAMI

L'accorgimento più banale ed importante è un esame delle urine 2-3 volte l'anno. Se non vi è interessamento renale in genere non si trovano alterazioni. Può essere segnalata un'abbondanza di leucociti nel sedimento urinario, che ha tuttavia scarso rilievo clinico.
Quando sono presenti proteinuria o microematuria si passa in genere agli esami di secondo livello, consistenti nello studio della funzione renale e in un esame delle urine delle 24 ore. Il primo viene eseguito essenzialmente con la misurazione della creatinina, a cui si può aggiungere la clearance della creatinina che tuttavia è soggetta a molti errori e variabili di laboratorio. La creatinina, con l’utilizzo di parametri di riferimento noti agli specialisti, può essere sufficiente nella maggior parte dei casi ad individuare il grado di compromissione dei reni.
Esistono altri indici della funzionalità renale usati solo a scopo di ricerca. Una metodica aggiuntiva utile in casi selezionati è la scintigrafia renale sequenziale, che permette una valutazione delle "clearance separate" per i due reni. Sempre sulle urine delle 24 ore si valuta poi la proteinuria giornaliera.

Una volta accertato che questi organi sono interessati dalla malattia, può essere necessaria una biopsia che permetta di distinguere la classe a cui la nefrite appartiene. Infatti, si distinguono secondo la Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) sei classi: nella prima non ci sono lesioni, la sesta rappresenta lo stadio finale con glomeruloscerosi. Fino a pochi anni fa l’atteggiamento terapeutico cambiava molto per i diversi stadi; la classe quattro era considerata la peggiore, la cinque poco evolutiva, la tre intermedia, la due benigna e la sei come l’esito di tutte le altre. Oggi, alla luce delle statistiche, che mostrano ottimi risultati anche per la classe 4 (perché prontamente e adeguatamente trattata) e il fallimento di un atteggiamento più attendista, si tende a curare in modo deciso qualora sia presente sindrome nefrosica, indipendentemente dallo stadio dell’interessamento renale. A lungo termine questo migliora la qualità di vita del paziente e rallenta la progressione del danno. La biopsia resta tuttavia fondamentale per capire se ci si sta trovando di fronte a lesioni attive conseguenza di riacutizzazione di malattia o lesioni croniche frutto di danni pregressi, poiché questo cambia completamente l’atteggiamento terapeutico (non si tratterà con forti dosi di cortisone o immunosoppressori l’esito di lesioni create in precedenza).
In situazioni stazionarie non è necessario ripetere la biopsia a scadenze fisse. Sarà necessario farlo all’esordio della malattia renale, in caso di riaccensioni o per escludere ed individuare una forma rapidamente progressiva.

TERAPIA

Il farmaco di elezione come primo approccio è il cortisone, come accade per quasi tutte le manifestazioni del LES. Dosaggio e modalità di somministrazione possono cambiare in base allo stadio della malattia e alla risposta del singolo paziente. In genere inizialmente sono utilizzati boli da 500, 750 o 1000 mg (in base al peso ed all’esperienza dei vari centri) in genere per 3 giorni consecutivi, per un periodo variabile, seguiti da corticosteroide in compresse. In seconda istanza l’approccio ad una nefrite lupica clinicamente evidente prevede la terapia immunosoppressiva. Il farmaco più utilizzato finora è stato la ciclofosfamide (Endoxan). I modelli in uso di questo farmaco sono molti e tutti ugualmente validi, ma è consigliabile, nel caso di terapie prolungate o ripetute, non superare i 16 grammi complessivi (da considerare come il totale di tutte i cicli terapeutici) per evitare i rischi tossici. Altri immunosoppressori (Methotrexate, Azatioprina ecc) sono meno utilizzati nella nefrite lupica.
In casi selezionati, per lo più quando la perdita della funzione renale evolve molto rapidamente, è utile la plasmaferesi.
Le terapie usate recentemente derivano per lo più dall’esperienza del trapianto d’organo; tra queste la ciclosporina ha riscosso molto interesse negli ultimi anni perché meno tossica per l’organismo. Durante terapia con ciclosporina particolare attenzione è necessaria alla gestione dei dosaggi, perché potrebbe causare effetti secondari anche a carico degli stessi reni. Un vantaggio consistente di questo farmaco è che già di per sé, indipendentemente dal meccanismo immunologico, riduce la proteinuria. Inoltre oggi esistono preparati in commercio che hanno eliminato il problema della variazione di assorbimento nei diversi soggetti o anche nello stesso individuo in condizioni differenti (orario, alimentazione ecc.)
Ultimamente ci sono segnalazioni, soprattutto dagli Stati Uniti, di farmaci simili alla ciclosporina, ma molto costosi e con meccanismi sostanzialmente sovrapponibili (Tacrolimus).
L’ultimo arrivato tra gli immunosoppressori è il micofenolato, che ha azione molto più specifica in quanto colpisce solo alcune classi di linfociti. I risultati nel LES sono incoraggianti; la remissione clinica si riesce ad ottenere in molti casi (esperienza personale molto positiva). Sebbene gli effetti collaterali siano meno importanti rispetto agli altri farmaci, quelli sull'apparato gastrointestinale legati all’uso del micofenolato possono essere molto invalidanti e a volte causa di interruzione della terapia. Per questa ragione sono in studio preparati simili che eliminino il problema.
Il limite più importante del farmaco consiste nel fatto che non se ne conoscono le eventuali complicanze a lungo termine, perché si tratta di un principio attivo relativamente “giovane”. Inoltre esiste, come per altri composti simili, il possibile effetto sulla fertilità e sulle aberrazioni cromosomiche, che rendono categorica l’indicazione all’uso di contraccettivi sia per gli uomini sia per le donne durante la terapia.
Praticamente tutti i farmaci di questo tipo arrivano dalla ricerca e dalla sperimentazione sul rigetto nei trapianti d’organo e sui tumori per poi essere estesi nel loro utilizzo ad altre patologie, lupus compreso.
E' utile inoltre segnalare che sono in corso di sperimentazione terapie alternative. In particolare le immunoglobuline endovena ad alto dosaggio, gli anticorpi monoclonali (anti C5 e anti CD 40 ligand), il farmaco Bindarit, la Cladribina e la Fludarabina (analoghi purinici), l'irradiazione linfoide totale e il trapianto autologo di cellule staminali.
Gli altri farmaci, usati per le manifestazioni articolari o cutanee del LES, non hanno effetto sulla nefrite lupica.
Come supporto sono invece molto utili gli ACE inibitori che agiscono riducendo la pressione del sangue e la proteinuria (di per sé tossica per l’organismo), i sartanici ed altri.

giovedì 8 aprile 2010

Diritti dei genitori di figli maggiorenni portatori di handicap

Dopo il raggiungimento della maggiore età del figlio portatore di handicap, i genitori lavoratori possono usufruire comunque dei permessi mensili (tre giorni al mese) di cui al punto precedente, purché sussista almeno una delle seguenti condizioni:
a. Il figlio sia ancora convivente con i genitori ( Se convivono non rileva la eventuale presenza in famiglia di altri soggetti in grado di pre¬stare assistenza. Ciò si evince dalla lettera della norma, anche se esistono pareri in senso opposto.).
b. Se il figlio non convive più con i genitori l'assistenza prestatagli deve essere continuativa ed esclusiva.
L'art. 42, comma 3, del D.Igs. 151/2001 dispone infatti "Successivamente al rag¬giungimento della maggiore età del figlio con handicap in situazione di gravità, la lavo¬ratrice madre o, in alternativa, il lavoratore padre hanno diritto ai permessi di cui all'art. 33, comma 3, della legge 5 febbraio 1992 n. 104. Ai sensi dell'art. 20 della legge 8 marzo 2000 n.53, detti permessi, fruibili anche in maniera continuativa nel¬l'ambito del mese, spettano a condizione che sussista convivenza con il figlio o, in assenza di convivenza, che l'assistenza al figlio sia continuativa ed esclusiva".
Quanto alla "continuità" dell'assistenza, il soggetto richiedente detti per¬messi deve prestare effettiva assistenza al figlio maggiorenne con handicap nelle sue necessità quotidiane. Si esclude che l'assistenza possa intendersi continuati¬va nei casi, per esempio, in cui genitore richiedente e figlio portatore di handi¬cap vivano in abitazioni oggettivamente distanti l'una dall'altra (distanza da valu¬tarsi più che in termini di spazio in termini temporali).
Quanto all' "esclusività" della prestazione, invece, si richiede che il genito¬re richiedente detti permessi sia l'unico soggetto che presti assistenza al figlio disabile. Si ritiene che non possa essere qualificata come esclusiva l'assistenza prestata da un genitore qualora con il figlio disabile maggiorenne convivano altri soggetti che possano richiedere detti permessi per la medesima persona disabile e/o soggetti non lavoratori in grado di assisterlo. Qualora ricorra una delle predette condizioni i genitori possono continuare a fruire dei permessi ai quali hanno diritto incondizionatamente dal terzo anno di vita del bambino e sino al raggiungimento della maggiore età. Valgono pertanto tutte le considerazioni svolte in precedenza.
In tutto l'arco della vita lavorativa, indipendentemente dall'età del figlio disabile, al genitore (aggiuntivamente agli istituti visti in precedenza) viene riconosciuta la possibilità di fruire di:
Congedo di due anni per la cura dei disabili
(artA, comma 4bis, L.53/2000 e art. 42, comma 5, D.Igs 151/2001)
La legge prevede che al ricorrere di particolari condizioni il padre, o in alter¬nativa, la madre di disabile (maggiorenne o minorenne) in situazione di gra¬vità, possano astenersi per un periodo di due anni dal lavoro, senza ovvia¬mente perdere il posto di lavoro e ricevendo un'indennità nei termini di cui si dirà.
1. La situazione di gravità del figlio portatore di handicap deve essere stata accertata almeno da 5 anni dalle apposite Commissioni istituite presso le ASL (come spiegato nel capitolo 1)4.
E Si ritiene che ciò che fa fede sia l'effettivo accertamento dell'handicap e della sua com¬parsa accertata dalla Commissione Medica e non la data, successiva, in cui la Commissione emette il verbale di accertamento. In ogni caso, il congedo di due anni potrà essere usufruito dai genitori con figli disabili che abbiano compiuto almeno i 5 anni di età.
2. I genitori devono possedere i requisiti per la fruizione del diritto al prolun¬gamento del congedo parentale, ai riposi orari giornalieri e ai permessi retri¬buiti (dei quali si è detto nei paragrafi precedenti).
Tale congedo particolare non è cumulabile con i tre giorni di permesso al mese: ciò significa che mentre il genitore di un soggetto disabile sta fruendo del congedo di due anni per l'assistenza del figlio, l'altro genitore, pur avendone diritto, non può chiedere i tre giorni mensili di permesso.
Anche in questo caso il congedo deve essere utilizzato in via alternativa: ciò significa che può usufruirne in parte la madre e in parte il padre, purché mai nello stesso periodo.
A prescindere da quali soggetti ne beneficiano la durata massima del congedo è di due anni (es. 15 mesi la madre e 9 mesi il padre) per ciascun figlio disabile. Tale congedo è, peraltro, frazionabile (es.: la madre o il padre usufruisce di 7 mesi e poi torna al lavoro, poi richiede il congedo per ulteriori 8 mesi e conser¬va il diritto ai restanti 9 mesi).
La domanda va presentata in duplice copia alla sede competente dell'INPS (salvo nei casi in cui non sia l'INPS ad erogare i trattamenti economici previsti per la maternità); una copia viene trattenuta dal richiedente con la rice¬vuta di presentazione e consegnata al datore di lavoro.
Si può iniziare a fruire del congedo entro 60 giorni dalla richiesta fatta.
Quindi si deve ritenere che: ove il disabile sia minorenne (convivente / non convivente) o maggiorenne convivente tale congedo spetta al richiedente (al ricorrere delle condizioni previste) anche quando l'altro genitore non ne abbia diritto (per es. qualora la madre sia casalinga) (art. 42, comma 6, Dlgs. 151/01). Qualora invece il disabile sia maggiorenne non convivente con il genitore richiedente, quest'ultimo per usufruire del congedo in esame dovrà prestare assi¬stenza in via esclusiva e continuata5 e quindi è escluso nel caso in cui vi sia un altro familiare che possa occuparsi del disabile.
- Questo congedo è una particolare ipotesi di congedo per gravi motivi di famiglia (previsto dall'art.4, L.5312000 per tutti i genitori), a condizioni più favorevoli (da un punto di vista economico e previdenziale) date le particola¬ri esigenze dei familiari di persone disabili.
E Per assistenza prestata in via "esclusiva" e "continuata" valgono le considerazioni già svolte in relazione ai permessi mensili spettanti al genitore di disabile maggiorenne.
A differenza del congedo per gravi motivi familiari (fruibile da tutti i lavoratori dipendenti al verificarsi delle condizioni richieste), quello specifico concesso per la cura di disabili in situazione di gravità è retribuito. I lavoratori che ne usufruiscono hanno diritto a percepire per tutto il periodo di astensione dal lavoro un'indennità mensile pari all'ultima retribuzione percepita, indennità che viene corrisposta dall'INPS e anticipata direttamente dal datore di lavoro.
Hai diritto alla contribuzione figurativa per tutto il periodo, utile a tutti gli effetti ai fini pensionistici. Sia l'indennità che la contribuzione figurativa vengono erogate con il limite mas¬simo di 36.151,98 pari a L. 70 milioni annui per il congedo di durata annuale.
Diritto di scegliere la sede di lavoro più vicina al proprio domicilio
(art. 33, comma 5, L.104/92).
Oltre al congedo di cui si è detto il genitore di disabile che assiste il figlio con con¬tinuità ed in via esclusiva ha diritto di scegliere la sede lavorativa più vicina al pro¬prio domicilio e ciò senza che rilevi l'età del figlio stesso o il fatto che conviva o meno con il richiedente.
Divieto di essere trasferito ad altra sede di lavoro senza il consenso del lavoratore
(art. 33, comma 5, L.104/92).
Anche in questo caso valgono le considerazioni appena svolte per il diritto di sce¬gliere la sede

Diritti dei genitori di bambini oltre i 3 anni portatori di handicap

Dopo il raggiungimento del terzo anno di età da parte del bambino portatore di handicap, i genitori, in via alternativa, possono usufruire per ogni mese di 3 gior¬ni di permesso anche continuativi. Tale diritto è riconosciuto ad entrambi i genitori che siano lavoratori dipendenti ed è pertanto riconosciuto anche al genitore che non sia convivente con il figlio minorenne. Pertanto, nell'ipotesi che stiamo esaminando, tale diritto è ricono¬sciuto anche quando l'altro genitore non ne ha diritto (perché non svolge attività lavorativa, è casalinga/o, o è un lavoratore/lavoratrice autonomo/a, libero/a pro¬fessionista o domestico o a domicilio). Tali permessi sono cumulabili con il congedo parentale "ordinario" che – come si è detto – può essere fruito sino al compimento degli otto anni di età del bam¬bino: pertanto i giorni di permesso possono essere utilizzati da un genitore anche quando l'altro stia usufruendo del congedo parentale "ordinario".
Il permesso ha una durata massima complessiva di tre giorni al mese, pertanto i genitori potranno decidere come suddividerli, sempre che entrambi ne abbiano diritto (es: due giorni la madre e uno il padre, o viceversa). Se solo un genitore ne ha diritto per il tipo di attività lavorativa che svolge, naturalmente potrà fruire di tutti e tre i giorni. In questo caso "in via alternativa" significa che complessivamente il numero massimo di giorni di permesso devono essere 3 cumulativi e non 3 per ciascun genitore: pertanto possono essere usufruite anche contestualmente (es. la madre si assenta dal lavoro per due giorni, ed il padre un giorno coincidente con una delle assenze dal lavoro della madre). In caso di più figli disabili all'interno dello stesso nucleo familiare tali permessi possono essere cumulati, ma non in misura superiore a tre giornate mensili per ciascun figlio.
Tali permessi "giornalieri" possano essere frazionati in mezze giornate (Circolare INPS n.211/1996 e n.133/2000). In ogni caso, il frazionamento non può superare in ogni mese il tetto massimo di ore equivalente alla somma delle ore lavorative dei tre giorni predetti. Né le ore non utilizzate, né i giorni non utilizzati in un mese possono essere cumulati con i giorni che spettano per il mese successivo. Se un genitore lavora part-time: il problema si pone in ordine ai genitori che svol¬gono attività lavorativa con orario part-time di tipo verticale, ossia lavorano solo alcuni giorni alla settimana (non rileva se a tempo pieno o a tempo ridotto). Al lavoratore assunto con contratto di lavoro part-time di tipo verticale, infatti, spet¬teranno un numero di giornate di permesso proporzionalmente ridimensionato sulla base dei giorni effettivi lavorati in un mese (qualora da detto riproporziona¬mento risultasse un parametro inferiore all'unità, esso andrà arrotondato ad 1 giornata di permesso al mese).
Come si è detto i permessi in questione sono sempre retribuiti. Viene infatti rico¬nosciuta al genitore che ne usufruisce un'indennità pari alla retribuzione che avrebbe percepito nelle giornate in cui presta regolare attività lavorativa. Tale indennità anticipata dal datore di lavoro è a carico dell'INPS. Anche i permessi giornalieri vengono computati nell'anzianità di servizio, ma non ai fini del calcolo delle ferie maturate e della tredicesima mensilità.
Tali permessi sono coperti da contribuzione figurativa, utile a tutti gli effetti ai fini pensionistici.

Diritti dei genitori di bambini fino a 3 anni portatori di handicap

L'art.33 L. 104/92, come modificato dal D.Igs. 151/2001, prevede agevolazioni diverse per il genitore lavoratore a seconda dell'età del figlio.
I genitori che hanno un bambino portatore di handicap di età non superiore ai tre anni, possono usufruire in via alternativa delle seguenti agevolazioni:
1. prolungamento del congedo parentale (art. 33, comma 1, Dlgs. 151/01);
2. prolungamento dei riposi orari (art. 33, comma 2, L. 104/92).
Le predette agevolazioni sono quindi alternative: l'una esclude l'altra. Può usufruirne un genitore anche qualora l'altro non né abbia diritto (perché per esempio non svolge attività lavorativa, o è un libero professionista): a titolo esem¬plificativo il padre può fruire ugualmente di una delle due agevolazioni indicate anche quando la madre del bambino sia casalinga.
Il D.Igs 151/01 riconosce a tutti i genitori (e quin¬di anche a quelli di bambini portatori da handicap), dopo la nascita del bambi¬no, la possibilità di astenersi dal lavoro per un periodo chiamato "congedo parentale", che di seguito chiameremo "ordinario" per distinguerlo dal "pro¬lungamento" riconosciuto ai soli genitori di bambini disabili. Pertanto, aggiuntivamente al congedo parentale "ordinario" spettante a tutti i genitori, la madre (o in alternativa il padre) di bambini portatori di handicap ha diritto a prolungare detto congedo sino al compimento dei tre anni di età del bambino. Pertanto il prolungamento spetta ad entrambi i genitori e con il termi¬ne "in alternativa" si intende con fruizione non contemporanea. Il "prolungamento" del congedo parentale si aggiunge al congedo parentale "ordinario" che, sebbene di durata inferiore (complessivi 10/11 mesi a secon¬da dei casi), può essere fruito sino al compi¬mento degli 8 anni di età del bimbo. Pertanto, per i genitori di bambini disa¬bili che hanno diritto ad entrambi gli istituti (congedo parentale "ordinario" e "prolungamento"), occorre valutare come questi possono essere utilizzati insieme.
In generale è possibile beneficiare del "prolungamento" fino al terzo anno di vita del bambino anche quando non sia stato utilizzato o esaurito il congedo parentale "ordinario". È da dire però che il "prolungamento" sino al terzo anno di vita del bambino può iniziare solo trascorso il periodo in cui si sareb¬be potuto fruire del congedo parentale "ordinario" (Circolare INPS M 33 del 17.7.2000).
Pertanto in via esemplificativa:
- Solo il padre lavora e la madre è casalinga: il prolungamento del conge¬do parentale può essere concesso dal giorno successivo alla scadenza del proprio teorico (Teorico, in quanto, anche se nei primi sette mesi non si è usufruito del congedo paren¬tale ordinario come "teoricamente" si sarebbe potuto fare, alla scadenza del settimo mese si può comunque fruire del "prolungamento")
periodo di normale astensione per congedo parentale: cioè trascorsi 7 mesi dalla nascita del bimbo.
- Il bimbo ha solo un genitore: ciò accade nel caso in cui il padre o la madre siano deceduti; oppure quando i genitori non sono sposati e un solo di essi ha riconosciuto il figlio; o ancora nel caso in cui il figlio sia stato affidato con prov¬vedimento dell'autorità giudiziaria ad un solo genitore. In tali casi il prolunga¬mento può essere chiesto alla scadenza del proprio teorico periodo di astensio¬ne per congedo parentale: ossia dopo i dieci mesi dalla fine dell'astensione obbligatoria.
Per tutto il periodo di astensione dal lavoro il genitore che usufruisce del pro¬lungamento del congedo parentale ha diritto un'indennità pari al 30% della retribuzione, così come del resto per il congedo parentale "ordinario" usufruito entro il terzo anno di vita del bambino. Qualora invece il congedo parentale "ordinario" (non usufruito in precedenza) venga fruito dopo il terzo anno di età del bambino (e sino agli otto anni di età) – come detto – tale congedo verrà indennizzato solo in presenza di particolari limiti reddituali. Tale indennità, corrisposta dall'ente assicuratore, viene anticipata direttamente dal datore di lavoro. Anche il periodo di "prolungamento" del congedo parentale, come del resto il periodo "ordinario", viene computato nell'anzianità di servizio, ma non ai fini del calcolo delle ferie maturate e della tredicesima mensilità.
A favore dei soggetti beneficiari del prolungamento del congedo parentale, sono accreditati per tutto il periodo di astensione dal lavoro i contributi figurativi utili a tutti gli effetti ai fini pensionistici. In alternativa al prolungamento del congedo parentale, ciascuno dei genitori può prolungare l'utilizzo dei riposi orari giornalieri fino al compimento del terzo anno di età del bambino. Nel caso di figlio portatore di handicap, quindi, l'utilizzo di detti permessi non cessa entro l'anno di vita del bambino (come per tutti gli altri genitori) ma prosegue sino ai tre anni. Pertanto sino all'età di tre anni si avrà diritto a 2 ore di permesso al giorno (anche Cumulabili) per chi ha un orario lavorativo pari o superiore alle 6 ore giornaliere ed 1 ora di permesso al giorno per chi ha un orario lavorativo inferiore alle 6 ore giornaliere. Tale diritto, riconosciuto ad entrambi i genitori, può essere esercitato indifferen¬temente dalla madre o dal padre, ma mai da entrambi contemporaneamente. Qualora uno dei genitori decida di prolungare il congedo parentale di cui al punto precedente, nessuno dei due genitori avrà diritto al prolungamento dei riposi orari giornalieri e viceversa. Nell'arco del primo anno di vita del bambino l'utilizzo dei permessi orari da parte di un genitore non esclude la possibilità per l'altro di fruire del congedo paren¬tale, ciò perché solo il "prolungamento" dei riposi orari giornalieri (quindi oltre il primo anno di età del figlio) esclude la possibilità di fruire del prolungamento del congedo parentale. È solo dopo il primo anno di vita del figlio e sino al terzo anno di età che occorre scegliere tra "prolungamento" del congedo parentale e "prolungamento" dei riposi orari giornalieri.
I riposi sono retribuiti: per tutta la loro durata, infatti, l'INPS o altro ente assicuratore, erogherà un'indennità pari alla retribuzione oraria. Pertanto il lavoratore padre e/o la lavoratrice madre che usufruiscano di tali riposi avranno ugualmente diritto alla retribuzione piena. Tale indennità, corrisposta dall'ente assicuratore viene anticipata direttamente dal datore di lavoro. Utilizzando i riposi orari, le ore non lavorate vengono ugualmente computate nell'anzianità di servizio, ma non ai fini del calcolo delle ferie maturate e della tredicesima mensilità.
Quanto al profilo previdenziale detti riposi sono coperti da contribuzione figu¬rativa in misura ridotta. I lavoratori hanno facoltà di riscattare questi periodi o di integrarli versando contributi volontari.

Lupus Eritematoso Sistemico in età pediatrica

Il lupus eritematoso sistemico (LES) è una malattia autoimmune sistemica molto variabile sia nel suo decorso che nelle sue manifestazioni cliniche e caratterizzata dalla presenza di numerosi autoanticorpi e di svariate ano­malie immunologiche.

La sua esatta frequenza è sconosciuta; si ritiene che in età pediatrica abbia una incidenza di 0.6/100.000. La malattia è nettamente più frequente attor­no alla pubertà e colpisce di preferenza il sesso femminile.

L'eziologia è sconosciuta. Il LES è considerato il prototipo delle malattie autoimmuni sistemiche, ovvero condizioni in cui l'organismo elabora una risposta immune diretta contro i suoi stessi componenti.

Non è una malattia ereditaria. Esistono tuttavia fattori genetici predispo­nenti. li LES, come le altre malattie autoimmuni, è la conseguenza dell'in­terazione di fattori genetici con fattori ambientali (infezioni in particolare).

Le manifestazioni cliniche del LES nel bambino differiscono poco da quel­le osservate nell'adulto per cui i criteri diagnostici per la malattia sono gli stessi nel bambino e nell'adulto. Una differenza importante, sia per la malattia che per la sua terapia è che colpisce un organismo in accresci­mento.

Le manifestazioni cliniche sono molto variabili e dipendono dall'organo o dall'apparato interessati.

Oltre alla febbre, presente nella maggior parte dei casi, i sintomi che più fre­quentemente compaiono all'esordio sono le manifestazioni cutanee e l'ar­trite. In circa il 50% dei bambini è presente il caratteristico eritema a far­falla, che si estende dagli zigomi "facendo ponte" sul naso e risparmiando le pieghe nasolabiali; altre manifestazioni cutanee a livello del viso, degli arti e del tronco, sono rappresentate da macchie eritematose rilevate, lesioni nodulari, vescicolari o bollose. Nel 20% dei casi si verificano ulcerazioni a livello del cavo orale. Una caratteristica presente in circa il 40% dei casi è la fotosensibilità, per cui le manifestazioni cutanee peggiorano in seguito all'esposizione al sole. Un'artrite di una certa entità è presente all'esordio nel 40-60 % dei bambini. Il carattere distintivo dell'artrite lupica è l'assen­za di erosione articolare e di distruzione cartilaginea, per cui non si verifi­cano deformazioni. II sintomo cardiovascolare più frequente è la pericardite, più rare sono le miocarditi. Un modesto grado di interessamento renale è probabilmente presente in tutti i bambini ma una nefrite clinicamente evidente si osserva in circa il 75% dei casi. In generale l'interessamento renale tende a manife­starsi nei primi 2 anni di malattia ma talora la sua comparsa può essere anche ritardata. Il LES può anche dare manifestazioni neurologiche come cefalea e convulsioni. La prognosi della malattia dipende soprattutto dall'interessamento renale e cerebrale.

Il decorso del LES è cronico ed è solitamente caratterizzato da una alter­nanza di fasi di relativa inattività e di acuzie.

La diagnosi è clinica e si basa sulla presenza di segni di interessamento di più organi o apparati associati a caratteristiche anomalie di laboratorio come la presenza di anticorpi antinucleo e soprattutto di anticorpi anti­DNA nativo e di ipocomplementemia.

I corticosteroidi sono la terapia di base del LES, ma il loro impiego, il dosaggio e le modalità di somministrazione variano in rapporto con la gra­vità della malattia.

Gli antimalarici (idrossiclorochina) esercitano un'azione benefica soprattutto sulle manifestazioni cutanee. Gli immunosoppressori sono da utilizza­re sia nelle situazioni cliniche particolarmente gravi sia quando sono neces­sarie dosi troppo alte di steroidi per controllare la malattia; in particolare si utilizzano la ciclofosfamide e l'azatioprina.

Tutti i corticosteroidi sono gravati da pesanti effetti collaterali se la loro somministrazione è protratta nel tempo a dosaggi medio alti. Oltre all'obe­sità, alle smagliature cutanee, all'ipertensione, alla miopatia steroidea parti­colare attenzione va posta, in età pediatrica, all'osteoporosi e al ritardo di crescita. Anche la ciclofosfamide possiede purtroppo vari effetti collaterali tra cui perdita di capelli, nausea, vomito, anoressia, aumento degli enzimi epatici, riduzione del numero di piastrine e globuli bianchi, cistite emorra­gica, insorgenza di sterilità e aumento del rischio di neoplasie.

L'azatioprina può dare effetti collaterali a carico dell'apparato gastrointesti­nale, effetti tossici su fegato, polmone, cute e midollo. Gli antimalarici possono causare soprattutto una tossicità retinica.

La frequenza e il tipo di controlli clinici, ematochimici e strumentali dipen­derà dall'aggressività della malattia e dal tipo di terapia seguita. In effetti in tutti i casi è necessario eseguire periodici controlli clinici in cui, accanto ad un attento esame generale, si esegue un esame del sangue (emocromo, fun­zionalità epatica e renale, indici di flogosi, complemento, autoanticorpi) ed un esame urine. Qualora il bambino assuma farmaci di fondo (immunodepressori) sarà necessario eseguire periodicamente esami emato-chimici per la valutazione della funzionalità epatica e renale e dell'emocromo; nel caso in cui assuma idrossiclorochina (Plaquenil) sarà invece necessario eseguire periodiche visi­te oculistiche.

Il LES è caratterizzato da periodiche riaccensioni e remissioni e il suo decorso è cronico con possibilità in ogni momento di una riacutizzazione della malattia.

In corso di terapia con agenti immunosoppressivi (steroidi, ciclofosfamide, azatioprina ecc.) è necessario rimandare le vaccinazioni che utilizzano anti­geni vivi modificati (antirosolia, antimorbillo, antiparotite, antipolio tipo Sabin, antiinfluenzale). Non vi è invece controindicazione all'utilizzo di vac­cini costituiti da anatossine (antitetanica, antidifterica), da virus uccisi (anti­polio tipo Salk) o vaccini ottenuti con le tecniche di ingegneria genetica (antiepatite B, antipertosse). È tuttavia possibile che queste vaccinazioni siano meno efficaci.

La prognosi della malattia è molto variabile secondo la gravità della malattia. Un tempo il LES era una malattia molto pericolosa ma l'impiego dei cortisonici e degli immunosop­pressori ne hanno radicalmente migliorato la prognosi. Questa è oggi varia­bile e dipende essenzialmente dalla gravità della sintomatologia e dalla sua risposta al trattamento.

Qualunque tipo di vacanza; bisogna tuttavia sottolineare il pericolo deri­vante da una eccessiva esposizione solare. Oltre che un peggioramento delle manifestazioni cutanee, si può verificare un aggravamento dei sintomi sistemici; è quindi necessario evitare di esporsi al sole nelle ore più calde e fare largo uso di creme antisolari a blocco totale.

La dieta deve essere ben bilanciata, a maggior ragione nei soggetti in età evolutiva.

La dieta diventa importante per i pazienti che assumono steroidi in quanto tra gli effetti collaterali del cortisone vi è l'aumento dell'appetito con con­seguente tendenza all'obesità; pertanto in questi casi sarà importante evita­re l'introduzione eccessiva di grassi e carboidrati.

Bisogna infine ricordare che il bambino deve condurre una vita normale e quindi frequentare regolar­mente la scuola.

mercoledì 7 aprile 2010

Aggravamento e revisione invalidità

L'aggravamento
Chi ha ottenuto il riconoscimento dell'invalidità civile può presentare richiesta di aggravamento seguendo il medesimo iter fin qui illustrato..
.Qualora sia stato prodotto ricorso gerarchico avverso il giudizio della commissione preposta all'accertamento della invalidità e delle condizioni visive, le domande di aggravamento sono prese in esame soltanto dopo la definizione del ricorso stesso. Non è possibile quindi presentare richiesta di aggravamento se già si è avviato un procedimento di ricorso.
Visite di revisione e certificati “a scadenza”
L’indicazione riguarda tutti quei casi in cui nei verbali sia già stata prevista una revisione successiva.
La Circolare INPS 131/2009 precisa che “le prestazioni per le quali sono già indicate negli archivi dell’Istituto le date di scadenza, verranno caricate in automatico nella procedura INVCIV2010 e potranno quindi essere gestite interamente con il nuovo iter procedurale. La programmazione dei calendari di visita dovrà ovviamente essere effettuata dall’ASL. Atteso che dalle procedure di revisione sono esclusi i soggetti di cui al DM 02/07/2007, il medico INPS che integra la Commissione medica, avrà cura di esaminare gli atti contenuti nel fascicolo sanitario della ASL relativamente ai soggetti portatori delle patologie ricomprese nel citato DM, al fine di escludere ogni ulteriore accertamento.”
Si suggerisce a chi sia in possesso di un verbale (di invalidità o di handicap) a scadenza, di rivolgersi comunque alla propria Azienda USL per avere conferma della procedura adottata e dei tempi di attesa. Ricordiamo, infatti, che alla scadenza del verbale, decadono tutte le prestazioni economiche e i benefici (ad esempio, permessi e congedi lavorativi) precedentemente concessi.

Visita domiciliare per invalidità

Visita domiciliare

Nel caso in cui la persona sia intrasportabile (il trasporto comporta un grave rischio per l’incolumità e la salute della persona) è possibile richiedere la visita domiciliare.
Anche in questo caso la procedura è informatizzata e spetta al medico abilitato a rilasciare il certificato introduttivo.
Il certificato medico di richiesta visita domiciliare va inoltrato almeno 5 giorni prima della data già fissata per la visita ambulatoriale.
È poi il Presidente della Commissione dell’Azienda USL a valutare il merito della certificazione e dispone o meno la visita domiciliare.
In caso di accoglimento, il Cittadino viene informato della data e dell’ora stabilita per la visita domiciliare, altrimenti viene indicata una nuova data di invito a visita ambulatoriale. Tali comunicazioni saranno notificate con le modalità già descritte (visualizzazione sul sito internet, eventuale invio per posta elettronica, lettera raccomandata).

La visita

La visita avviene presso la Commissione della Azienda USL competente che, dal 1 gennaio 2010 è - in forza dell’articolo 20 della Legge 102/2009 - integrata con un medico dell’INPS.
La Commissione accede al fascicolo elettronico contenente la domanda e il certificato medico. La persona può farsi assistere – a sue spese da un medico propria fiducia.
Al termine della visita, viene redatto il verbale elettronico, riportando l’esito, i codici nosologici internazionali (ICD-9) e l’eventuale indicazione di patologie indicate nel Decreto 2 agosto 2007 che comportano l’esclusione di successive visite di revisione.
Sono abilitati all’accesso a questi dati solo alcuni medici e funzionari, per contenere il rischio di abusi relativi alla riservatezza dei dati.
Tutta la documentazione sanitaria presentata nel corso della visita viene conservata e acquisita agli atti dall’Azienda USL.
In caso di assenza a visita senza giustificato motivo, la domanda viene rigettata. Il Cittadino dovrà presentare una nuova domanda, previo rilascio del certificato da parte del medico curante.

La verifica

Come già detto, le Commissioni ASL sono integrate con un medico dell’INPS e questo può rappresentare un vantaggio in termini di tempi, oltre che – sicuramente – di risparmi di gestione.
Infatti, se al termine della visita viene approvato all’unanimità, il verbale, validato dal Responsabile del Centro Medico Legale dell’INPS è considerato definitivo.
Se al termine della visita di accertamento, invece, il parere non è unanime, l’INPS sospende l’invio del verbale e acquisisce gli atti che vengono esaminati dal Responsabile del Centro Medico Legale dell’INPS. Questi può validare il verbale entro 10 giorni oppure procedere ad una nuova visita nei successivi 20 giorni.
La visita, in questo caso, viene effettuata, oltre che da un medico INPS (diverso da quello presente in Commissione ASL), da un medico rappresentante delle associazioni di categoria (ANMIC, ENS, UIC, ANFFAS) e, nel caso di valutazione dell’handicap, da un operatore sociale (per le certificazioni relative alla Legge 104/1992 e 68/1999).
La Commissione medica può avvalersi della consulenza di un medico specialista della patologia oggetto di valutazione. Le consulenze potranno essere effettuate da medici specialisti INPS o da medici già convenzionati con l’Istituto.

L’invio del verbale

Il verbale definitivo viene inviato al Cittadino dall’INPS.
Le versioni inviate sono due: una contenente tutti i dati sensibili e una contenente solo il giudizio finale per gli usi amministrativi.
Se il giudizio finale prevede l’erogazione di provvidenze economiche, il Cittadino viene invitato ad inserire online i dati richiesti (ad esempio reddito personale, eventuale ricovero a carico dello Stato, frequenza a scuole o centri di riabilitazione, coordinate bancarie).
Anche queste informazioni finiscono nella “banca dati” e completano il profilo della persona ai fini dell’invalidità civile, handicap e disabilità. E anche per queste procedure è bene farsi assistere da un patronato sindacale, un’associazione o un soggetto abilitato.
I fascicoli elettronici dei verbali conclusi vengono archiviati nel Casellario Centrale di Invalidità gestito dall’INPS.

Il ricorso

Nel caso la Commissione medica entro tre mesi dalla presentazione della domanda non fissi la visita di accertamento, l'interessato può presentare una diffida all'Assessorato regionale competente che provvede a fissare la visita entro il termine massimo di 270 giorni dalla data di presentazione della domanda; se questo non accade (silenzio rigetto) si può ricorre al giudice ordinario.
Avverso i verbali emessi dalle Commissioni mediche (Usl o periferiche) è possibile presentare ricorso, entro sei mesi dalla notifica del verbale, davanti al giudice ordinario con l'assistenza di un legale.
Nel caso di ricorso è possibile farsi appoggiare da un patronato sindacale o da associazioni di categoria.

Ricevuta e convocazione alla visita

Per ogni domanda inoltrata, il sistema informatico genera una ricevuta con il protocollo della domanda.
La procedura informatica propone poi un’agenda di date disponibili per l’accertamento presso la Commissione dell’Azienda USL.
Il Cittadino, può scegliere la data di visita o indicarne una diversa da quella proposta, scegliendola tra le ulteriori date indicate dal sistema.
Vengono fissati indicativamente dei nuovi limiti temporali:
- per l’effettuazione delle visite ordinarie è previsto un tempo massimo di 30 giorni dalla data di presentazione della domanda;
- in caso di patologia oncologica ai sensi dell’art. 6 della Legge n. 80/06 o per patologia ricompresa nel DM 2 agosto 2007, il limite temporale scende a 15 giorni.

Se non è possibile, in tempo reale, fissare la visita entro l’arco temporale massimo, a causa dell’indisponibilità di date nell’agenda, la procedura può segnalare date successive al limite previsto, oppure registrare la domanda e riservarsi di definire in seguito la prenotazione della visita.
Una volta definita la data di convocazione, l’invito a visita è visibile nella procedura informatica (visualizzato nel sito internet) e viene comunicato con lettera raccomandata con avviso di ricevimento, all’indirizzo e alla email eventualmente comunicata.
Nelle lettere di invito a visita sono riportati i riferimenti della prenotazione (data, orario, luogo di visita), delle avvertenze riguardanti la documentazione da portare all’atto della visita (documento di identità valido; stampa originale del certificato firmata dal medico certificatore; documentazione sanitaria, ecc.), e delle modalità da seguire in caso di impedimento a presentarsi a visita, nonché le conseguenze che possono derivare dalla eventuale assenza alla visita.

Nella stessa lettera viene ricordato che:
- il Cittadino può farsi assistere, durante la visita, da un suo medico di fiducia;
- in caso di impedimento, può chiedere una nuova data di visita collegandosi al sito dell’Inps e accedendo al Servizio online con il proprio codice di identificazione personale (PIN);
- se assente alla visita, verrà comunque nuovamente convocato. La mancata presentazione anche alla successiva visita sarà considerata a tutti gli effetti come una rinuncia alla domanda, con perdita di efficacia della stessa.

Richiesta riconoscimento invalidità

La richiesta di riconoscimento di handicap va presentata, dall'interessato o da chi lo rappresenta legalmente (genitore, tutore, curatore), all’INPS territorialmente competente. La presentazione della domanda, informatizzata dal gennaio 2010, deve rispettare alcuni precisi passaggi.
1. Il certificato del medico curante. Per prima cosa bisogna rivolgersi al medico curante (medico certificatore) per il rilascio del certificato introduttivo.
Basandosi sui modelli di certificazione predisposti dall’INPS, il medico attesta la natura delle infermità invalidanti, riporta i dati anagrafici, le patologie invalidanti da cui il soggetto è affetto con l’indicazione obbligatoria dei codici nosologici internazionali (ICD-9). Deve, se presenti, indicare le patologie elencate nel Decreto Ministeriale 2 agosto 2007 che indica le patologie stabilizzate o ingravescenti che danno titolo alla non rivedibilità. Infine deve indicare l’eventuale sussistenza di una patologia oncologica in atto.
Questo certificato va compilato su supporto informatico ed inviato telematicamente. I medici certificatori, per eseguire questa operazione, devono essere “accreditati” presso il sistema richiedendo un PIN che li identificherà in ogni successiva certificazione.
Una volta compilato il certificato, il sistema informatizzato genera un codice univoco che il medico consegna all’interessato. Il medico deve anche stampare e consegnare il certificato introduttivo firmato in originale, che il Cittadino deve poi esibire al momento della visita.
La ricevuta indica il numero di certificato che il Cittadino deve riportare nella domanda per l’abbinamento dei due documenti.
Il certificato ha validità 30 giorni: se non si presenta in tempo la domanda, il certificato scade e bisogna richiederlo nuovamente al medico.
2. La presentazione della domanda all’INPS. La domanda di accertamento può essere presentata solo per via telematica. Il Cittadino può farlo autonomamente, dopo aver acquisito il PIN (un codice numerico personalizzato), oppure attraverso gli enti abilitati: associazioni di categoria, patronati sindacali, CAAF, altre organizzazioni.
Il PIN può essere richiesto direttamente dal sito dell’Inps, sezione dei Servizi on line (inserendo i dati richiesti saranno visualizzati i primo otto caratteri del PIN; la seconda parte del codice sarà successivamente recapitata per posta ordinaria) oppure, in alternativa, tramite il Contact Center INPS (numero 803164).
Nella fase della presentazione si abbina il certificato rilasciato dal medico (presente nel sistema) alla domanda che si sta presentando.
Nella domanda sono da indicare i dati personali e anagrafici, il tipo di riconoscimento richiesto (handicap, invalidità, disabilità), le informazioni relative alla residenza e all’eventuale stato di ricovero.
Il Cittadino può indicare anche una casella di posta elettronica (che se è certificata consente comunicazioni valide da un punto di vista burocratico) per ricevere le informazioni sul flusso del procedimento che lo riguarda.
Tutte le “fasi di avanzamento” possono essere consultate anche online nel sito dell’INPS, sia dal Cittadino che dai soggetti abilitati grazie al codice di ingresso (PIN).
E' bene ricordare che l'accertamento dell'handicap può essere richiesto anche contemporaneamente alla domanda di accertamento dell'invalidità: non è, cioè, necessario presentare due domande distinte,

Definizione di handicap

Le disposizioni contenute nella legge 104/92 sono rivolte alle persone portatrici di handicap. È la legge stessa a specificare quando una persona può considerar¬si "handicappata" e può quindi usufruire delle agevolazioni in essa contenute. L'art. 3 della L. 104/92 individua due categorie di soggetti:

1. Persona con handicap: chi "presenta una menomazione fisica psichica o sensoriale, stabilizzata o progressiva, che è causa di difficoltà di apprendimento,di relazione o di integrazione lavorativa e tale da determinare un processo di svantaggio sociale o di emarginazione" (art.3, comma 1, L.104/92). L.104
2. Persona con handicap in situazione di gravità: "qualora la minorazione, singola o plurima, abbia ridotto l'autonomia personale, correlata all'età, in modo da rendere necessario un intervento assistenziale permanente, continuativo e globale nella sfera individuale o in quella di relazione, la situazione assume connotazione di gravità. Le situazioni riconosciute di gravità determinano priorità nei programmi e negli interventi dei servizi pubblici” (art.3, comma 3, L.104/92).
Per poter usufruire delle agevolazioni previste per i genitori e familiari di soggetti portatori di handicap è innanzitutto necessario essere in possesso del certificato di handicap, ossia di un documento medico che attesti la presenza di una delle condizioni di cui ai precedenti numeri 1 e 2.
L'accertamento dell'handicap e il conseguente rilascio del certificato medico è compito delle ASL che provvedono per il tramite di apposite Commissioni Mediche in seguito a emissione di certificazione rilasciata dal medico di base. Tali Commissioni Mediche operano nell'ambito di ciascuna azienda sanitaria locale e sono composte da (art. 4 L.104/92):
- un medico specialista in medicina legale, che assume la funzione di Presidente;
- due medici (dei quali uno specializzato in medicina del lavoro);
- un medico esperto nei casi da esaminare;
- un operatore sociale.

In seguito all'accertamento effettuato dalle Commissioni Mediche, se viene riscontrato lo stato di handicap, può essere rilasciato:
• Certificato di handicap, qualora il soggetto richiedente si trovi nelle condizioni di cui al punto 1 del paragrafo precedente; tale certificato permette di usufruire di alcune agevolazioni tributarie e fiscali (es: detraibilità dei sussidi tecnici e informatici; deducibilità delle spese di assistenza specifica, esenzione dal pagamento del bollo auto se l'handicap è di natura motoria,...).
• Certificato di handicap in situazione di gravità: qualora ricorrano le mino¬razioni di cui al punto 2 del paragrafo precedente; questo certificato è indi¬spensabile per poter usufruire dei permessi lavorativi previsti dall'art. 33 1.104/92, nonché di quelli previsti dalla L. 53/2000 e dal D.Igs. 151/2001 per i genitori e familiari dei soggetti disabili.

Entrambi i certificati non devono essere confusi con le normali certificazioni di invalidità civile, invalidità sul lavoro o per servizio, o altre. Una volta ottenuta la certificazione dell'handicap, i portatori di handicap posso¬no ricorrere all'autocertificazione per attestare le particolari condizioni familiari o personali richieste dalla legge al fine dell'adozione di provvedimenti ammini¬strativi o al fine dell'acquisizione di vantaggi, di benefici economici, di prestazio¬ni sanitarie, di agevolazioni fiscali o tributarie erogati da soggetti pubblici o gestori o esercenti pubblici servizi (art. 39 L.23.12.1998 n.448). L'autocertificazione può essere utile qualora non si disponga di una copia del verbale di accerta¬mento dell'handicap rilasciato dalla Commissione Medica.

Leggi a tutela dei disabili con malattie reumatiche infantili

Data la giovane età dei bambini colpiti dalle patologie in esame, una delle pro¬blematiche maggiori nasce proprio dalla necessità per i genitori di conciliare esi¬genze lavorative ed esigenze familiari. Tali difficoltà sono comuni alla maggioran¬za dei genitori, tuttavia esse divengono maggiori quando il bambino risulta affet¬to da gravi patologie. Di seguito e nei prossimi articoli mi occuperò di illustrare a tutti i genitori, e in parti¬colare a coloro che hanno figli e/o familiari affetti da gravi patologie, quali stru¬menti normativi esistono al fine di conciliare esigenze lavorative e familiari. Circa quindici anni fa il legislatore ha avvertito l'esigenza di coordinare in un unico testo normativo le varie disposizioni che, in maniera frammentaria, erano state emanate a tutela delle persone portatrici di handicap. Ciò è stato fatto con la legge 5 febbraio 1992 n. 104 "Legge-quadro per l'assistenza, l'integrazione socia¬le e i diritti delle persone handicappate". In particolare l'art. 33 prevede una serie di agevolazioni per il familiare/genitore lavoratore che debba assistere e accudi¬re una persona disabile. Tali agevolazioni si aggiungevano naturalmente a quelle riconosciute a tutti i genitori lavoratori, e ciò a prescindere dalla sussistenza di eventuali patologie. A tutela di tutti i genitori lavoratori, infatti, ed in particolare a tutela delle esigen¬ze della lavoratrice madre erano state emanate la L. 30 dicembre 1971 n.1204 "Tutela delle lavoratrici madri" e la L. 9 dicembre 1977 n.703 "Parità di tratta¬mento tra uomini e donne in materia di lavoro". Tali disposizioni sono state recen¬temente modificate e innovate con la L. 8 marzo 2000 n.53 "Disposizioni per il sostegno della maternità e paternità, per il diritto alla cura e alla formazione e per il coordinamento dei tempi delle città". La legge 53/2000 ha introdotto un nuovo quadro normativo per i congedi parentali, familiari e formativi, quadro normati¬vo destinato ad avere un impatto importante sulla mentalità e sulle abitudini, sia dei datori di lavoro che dei lavoratori. Alla L. 53/2000 ha fatto seguito il D.lgs 26 marzo 2001 n. 151 `Testo Unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della pater¬nità", con il quale si è cercato di ricostruire un quadro organico della materia. Inevitabilmente gli interventi normativi del 2000 e del 2001 hanno inciso anche sulla normativa precedente contenuta nella L. 104/92, in particolare modifican¬do la disciplina contenuta nell'art. 33 volta ad agevolare i soggetti lavoratori che abbiano figli o familiari disabili. Nella trattazione che segue si analizzeranno gli istituti posti a tutela dei soggetti portatori di handicap disciplinati delle leggi citate, focalizzando l'attenzione sugli aspetti più salienti, soprattutto in relazione alla giovane età dei soggetti colpiti dall'handicap. Occorre precisare, innanzitutto, che parlerò di genitori che svolgono un'atti¬vità lavorativa di tipo subordinato, ossia che lavorano come dipendenti (esclu¬dendo tutti i rapporti di collaborazione, i liberi professionisti ed in generale i lavoratori autonomi).

domenica 4 aprile 2010

Febbre reumatica o Reumatismo articolare Acuto

La febbre reumatica o reumatismo articolare acuto (RAA) è una malattia infiammatoria che si manifesta come conseguenza di una infezione da streptococco, a carico delle prime vie aeree.
Sebbene la sua definizione sottolinei l'interessamento delle articolazioni, il RAA deve la sua importanza alla possibile compromissione cardiaca che rappresenta la complicanza più grave.
Il RAA è direttamente correlato ad una infezione da streptococchi di grup¬po A. In soggetti geneticamente predisposti l'infezione con lo streptococco genera una risposta immunitaria anomala di tipo "autoimmune" cioè autoaggressiva. La malattia può insorgere ad ogni età, ma è rara nel bambino della prima infanzia e generalmente compare tra i 5 e i 15 anni quando, in seguito alla vita in comunità scolastica, le infezioni streptococciche divengono più fre¬quenti.
Nei Paesi occidentali l'incidenza del RAA si è ridotta in maniera assai impor¬tante nella seconda metà del secolo scorso ma ha conosciuto, negli anni più recenti, una modesta recrudescenza.
Le manifestazioni cliniche del RAA comprendono:
- febbre elevata (38-39 T);
- artriti migranti, cioè che saltano da una articolazione all'altra in modo che l'articolazione che era interessata pochi giorni prima non lo è più men¬tre è comparso l'interessamento a carico di una nuova articolazione; si trat¬ta soprattutto di grosse articolazioni come ginocchia, caviglie, polsi, spalle. Le articolazioni coinvolte sono spesso molto dolorose più che tumefatte;
- manifestazioni cutanee (eritema marginato) e tendinee (noduli) di rara osservazione;
- un interessamento cardiaco che può coinvolgere tutte le strutture del cuore ma che predilige le valvole cardiache;
- un interessamento neurologico (corea di Sydenham) che determina movimenti rapidi ed involontari del volto, del tronco e/o delle estremità con conseguente difficoltà del bambino nello scrivere, nel parlare e nel cammi¬nare.
La sintomatologia è preceduta di 2-3 settimane da una faringite streptococ¬cica (o da una scarlattina). La prognosi è legata all'interessamento cardiaco perché tutte le altre manifestazioni regrediscono spontaneamente senza lasciare reliquati. L'interessamento cardiaco viceversa, oltre a poter causare una insufficienza cardiaca acuta, può generare danni permanenti alle valvole cardiache. Durante la fase acuta vengono somministrati farmaci antiinfiammatori non steroidei e, in caso di interessamento cardiaco, steroidi. A questo si associa la terapia dell'infezione streptococcica con penicillina. Il problema cruciale è evitare nuove infezioni streptococciche che potreb¬bero provocare recidive della malattia. La profilassi si effettua con la som¬ministrazione di penicillina ritardo per via i.m. (una somministrazione ogni 21 giorni). Le recidive sono soprattutto frequenti nei primi 5 anni successi¬vi all'episodio acuto. La profilassi va pertanto continuata per almeno 5 anni. La sua successiva eventuale interruzione rappresenta un rischio calcolato che deve tenere conto dell'esposizione possibile del soggetto ad una infe¬zione streptococcica e della gravità dell'episodio iniziale.

venerdì 2 aprile 2010

Le malattie reumatiche infantili: Vita quotidiana e Artrite idiopatica Giovanile

In generale non c'e una controindicazione assoluta allo svolgimento non agonistico di qualsiasi attività sportiva. Sarà opportuno evitare quegli sport che richiedono l'utilizzo costante (con rischio di microtraumi) dei segmenti articolari interessati dalla malattia (ad esempio lo sci se c'è un'artrite attiva a carico delle ginocchia, la pallavolo se c'è un'artrite attiva a carico dei polsi...). Si cerca sempre tuttavia di assecondare i desideri del bambino in modo da non farlo sentire diverso dai compagni.Sicuramente utile per tutte le forme di artrite è il nuoto (ancora meglio se in piscine con acqua riscaldata) che permette di muovere tutte le articolazioni senza sottoporle al carico gravitazionale.In corso di terapia con agenti immunosoppressivi (steroidi, methotrexate anti-TNF ecc.) è necessario rimandare le vaccinazioni che utilizzano anticorpi vivi modificati (antirosolia, antimorbillo, antiparotite, antipolio tipo Sabi,- antiinfluenzaie). Non vi è invece controindicazione all'utilizzo di vaccini costituiti da anatossine (antitetanica, antidifterica), da virus uccisi (antipol! tipo Salk) o vaccini ottenuti con le tecniche di ingegneria genetica tite B, antipertosse).
Il bambino deve assolutamente frequentare la scuola in maniera regolare. La scuola è infatti uno dei luoghi principali in cui il bambino apprende il diventare una persona autonoma, produttiva, indipendente. I genitori e gli insegnanti dovranno impegnarsi affinché il bambino malato possa inserirsi normalmente nell'attività scolastica in modo da ottienere un buon successo, inteso non solo e non tanto come profitto scolìtico ma come capacità di comunicare, di essere accettato e apprezzato dai coetanei. Vi sono alcuni fattori legati alla malattia che possono ostacolare la frequenza a scuola quali la diminuita capacità a deambulare, la minor resistenza alla fatica, il dolore o la rigidità. Bisognerà spiegare alle insegnanti le necessità del bambino: dall'uso di banchi appropriati, ai movimenti periodici durante le ore di scuola per contrastare la rigidità articolare, alla possibile difficoltà nella scrittura. I pazienti con interessamento articolare meno impegnativo è preferibile che non siano esclusi dalle lezioni di ginnastica, ma dovrebbero parteciparvi con esercizi adeguati, suggeriti e consigliati dagli stessi medici curanti. II bimbo deve condurre una vita il più possibile uguale a quella dei coetanei. La comparsa di una patologia cronica come l'AIG mette a dura prova tutto il nucleo familiare ovviamente tanto più quanto più grave è la malattia. Agli inizi è spesso normale la ribellione istintiva contro la malattia e sarà impossibile che il bambino accetti la propria malattia se questo non viene fatto primariamente dai familiari. Un atteggiamento positivo e di sostegno da parte soprattutto dei genitori, stimolerà il bambino ad affrontare la propria malattia con la stessa attitudine e questo gli permetterà di partecipare serenamente, nell'ambito delle sue possibilità, alle attività sociali e di relazione con i coetanei. La madre può sviluppare un attaccamento anomalo verso il bambino malato: un atteggiamento iperprotettivo, nel tentativo di preservare il paziente da ogni possibile disagio, può generare in quest'ultimo la sensazione di essere una persona incapace ad affrontare i problemi della vita e può fargli sviluppare una sensazione di inadeguatezza che influenzerà la maturazione della personalità con conseguenze che possono essere più gravi di quelle indotte dall'artrite stessa. Se la famiglia non è in grado da sola di reggere il peso della malattia potrà essere utile un supporto psicologico da parte di persone competenti. Non sono mai state segnalate correlazioni tra il clima, l'incidenza dell'AIG o la riaccensione della stessa.
Non essendoci correlazioni tra l'artrite e il clima, qualsiasi luogo è adatto per le vacanze. Per quanto riguarda la dieta non vi sono relazioni tra la comparsa dell'AIG o la riaccensione della malattia e l'alimentazione. La dieta diventa importante per i pazienti che assumono steroidi in quanto tra gli effetti collaterali del cortisone vi è l'aumento dell'appetito con conseguente tendenza all'obesità; pertanto in questi casi sarà importante evitare l'introduzione eccessiva di grassi e carboidrati.
Per concludere è utile ricordare che non vi sono interferenze tra l'AIG e la possibilità di procreare. Nelle bimbe in età fertile occorre tenere presente che il methotrexate ed altri farmaci impiegati nel trattamento dell'AIG possono avere un effetto teratogeno.

Le malattie reumatiche infantili: Evoluzione Artrite idiopatica Giovanile

L'evoluzione dell'interessamento articolare dipende dalla forma clinica di AIG, dalla gravità, dalla persistenza dell'artrite, dall'età di insorgenza e, ovviamente, dal trattamento sia farmacologico che riabilitativo. In linea di massima nelle forme oliogoarticolari la prognosi, in presenza di un adeguato trattamento, è spesso buona; tuttavia alcune forme evolvono con il tempo verso una forma poliarticolare e una percentuale non ancora ben definita di pazienti con forma associata ad entesite sviluppa una spondiloartrite anchilosante. La maggioranza dei pazienti con artrite poliartico¬lare FR positiva e circa un quarto di quelli con artrite sistemica o con forma poliarticolare FR negativa possono sviluppare nel tempo alterazioni articolari importanti.Il trattamento riabilitativo è un aspetto fondamentale della terapia dell'AIG. Deve essere precoce e continuo ed è volto a prevenire, limitare o correggere le anomalie funzionali secondarie all'infiammazione che ha profonde influenze su tutte le componenti articolari e periarticolari.Come è già stato detto l'AIG è una malattia cronica e ciò significa che la sua durata può essere estremamente variabile da un caso all'altro; in generale in oltre la metà dei pazienti la malattia va incontro con il tempo ad una remissione spontanea. Periodi lunghi di benessere non associati ad alcun trattamento sono senza dubbio un ottimo segnale, ma non escludono con certezza una possibile riattivazione della malattia.