Benvenuto nel Blog della LES

Ciao, sono il papà di una ragazza alla quale, nel 2002, è stata diagnosticato il Lupus Eritematoso Sistemico (LES). Con questo blog spero di potere aiutare qualcuno che sta attraversando questa brutta esperienza cercando di supportarlo, per quanto mi è possibile, a superare le difficoltà quotidiane e burocratiche che ho già dovuto affrontare io in passato. Un augurio di cuore a tutti. Se qualcuno vuole contattarmi direttamente può utilizzare l'indirizzo pepo1405@libero.it

Le informazioni fornite sono a scopo divulgativo e non intendono in alcun caso sostituire le indicazioni che possono essere ottenute direttamente da un medico che valuti il singolo caso. Inoltre le indicazioni relative a farmaci, procedure mediche o terapie in genere hanno un fine unicamente illustrativo e non possono sostituirsi alla prescrizione di un medico.

Cerca con google

venerdì 17 settembre 2010

INTERESSAMENTO POLMONARE

Il polmone rappresenta l’organo della respirazione nei vertebrati terrestri. È costituito da canali di diametro sempre minore (trachea, bronchi, bronchioli) che servono per convogliare l’aria agli alveoli, dilatazioni a forma di piccolo sacchetto delle pareti dei bronchioli più piccoli. L’aria entra nei polmoni con gli atti della respirazione per effetto di alcuni muscoli, diaframma e muscoli intercostali, chiamati appunto muscoli respiratori. Le strutture interposte tra polmoni e parete toracica sono i foglietti pleurici e la cavità pleurica. Il foglietto pleurico viscerale avvolge completamente il polmone, mentre quello parietale tappezza dall’interno la cavità toracica che accoglie l’organo della respirazione. Tra i due foglietti vi è uno spazio virtuale, la cavità pleurica, in cui è contenuta una pellicola sottile di liquido che assicura lo scorrimento dei due foglietti durante i movimenti di espansione e retrazione polmonare che avvengono per effetto dei movimenti respiratori. A livello degli alveoli avviene lo scambio di gas (ossigeno e anidride carbonica) tra aria e sangue, per il fenomeno fisico della diffusione dei gas. L’ossigeno, più concentrato nell’aria che nel sangue, tende a passare dalla prima al secondo. Nel sangue, l’ossigeno si fissa all’emoglobina, contenuta nei globuli rossi e viene trasportato ai tessuti. Al contrario, l’anidride carbonica è più concentrata nel sangue e meno negli alveoli e pertanto passa da quello nella cavità alveolare da cui viene espulsa con l’espirazione. I polmoni sono irrorati da moltissimo sangue. Per la respirazione sono importanti l’arteria e la vena polmonare che costituiscono il piccolo circolo. L’arteria polmonare porta agli alveoli il sangue povero di ossigeno e ricco di anidride carbonica, la vena polmonare porta invece il sangue ricco di ossigeno ai tessuti. Nel circolo

polmonare, contrariamente a quanto avviene nella grande circolazione, il sangue delle arterie è povero di ossigeno e quello della vene ne è ricco. Come già spiegato in precedenza, virtualmente ogni organo o apparato può essere coinvolto dal LES e l’apparato respiratorio non fa eccezione. Il polmone infatti può essere coinvolto direttamente dalla malattia oppure essere interessato dalle complicanze infettive, legate alla compromissione della risposta immunitaria che si verifica per l’utilizzo di terapie immunosoppressive, a base di corticosteroidi e/o farmaci citostatici. I risultati di un recente studio epidemiologico condotto dal nostro gruppo di ricerca, indicano che nel LES le complicanze infettive sono la causa più frequente di morte. Tra queste le infezioni polmonari rappresentano la percentuale maggiore. Va tuttavia sottolineato che la terapia

con immunosoppressori ha migliorato notevolmente la prognosi del LES, tanto che l’aspettativa di vita dei pazienti affetti da questa malattia è oggi simile a quella della popolazione generale. Nel complesso, l’interessamento pleuro-polmonare si verifica abbastanza spesso nel LES. Secondo la nostra esperienza, la pleurite si manifesta nel 36% dei casi, mentre il coinvolgimento del polmone è più raro, essendo riscontrabile solo nel 7% dei casi. In una percentuale maggiore di pazienti si può presentare una sintomatologia caratterizzata da dolore toracico intenso, che si accentua con gli atti del respiro (dolore pleuritico), senza formazione di liquido nel cavo pleurico, verosimilmente legata ad un’infiammazione pleurica di intensità lieve e non sufficiente a produrre versamento. Tra i quadri clinici ricordiamo, oltre alla già citata pleurite, la polmonite lupica acuta, la polmonite interstiziale cronica, l’emorragia polmonare, l’ipertensione polmonare, l’embolia polmonare La pleurite è la manifestazione più frequente dell’impegno dell’apparato respiratorio

in corso di LES; si manifesta con dolore toracico, che si accentua con gli atti del respiro, spesso associato a febbre, tosse secca e dispnea (difficoltà di respiro o “respiro corto”). Il versamento pleurico (formazione di liquido tra i foglietti che ricoprono i polmoni), quando presente, è in genere di modesta entità e può associarsi al coinvolgimento del pericardio (pericardite: infiammazione con versamento dei foglietti che avvolgono il cuore). La diagnosi si basa sul quadro clinico e sulla radiografia del torace. Raramente è necessario ricorrere alla toracentesi (aspirazione percutanea di liquido pleurico), allo scopo di escludere

altre patologie, quali infezioni o tumori. La prognosi è generalmente buona, e nella maggior parte dei casi la pleurite risponde a dosi medio-basse di cortisone e agli antinfiammatori non steroidei. La polmonite lupica acuta è una manifestazione grave, fortunatamente di raro riscontro,caratterizzata da tosse, febbre, dispnea, emissione di sangue con i colpi di tosse. Anche in questo caso, la diagnosi si basa sulla radiografia del torace. Va tuttavia sempre tenuto in debita considerazione che anche i processi polmonari infettivi, peraltro

molto più frequenti della polmonite lupica, possono dare alla radiografia un quadro del tutto simile. La prognosi della polmonite lupica acuta non è buona, e sono spesso necessarie terapie energiche, come i boli di cortisone o l’utilizzo di immunosoppressori. La polmonite interstiziale cronica spesso esordisce insidiosamente, con una dispnea progressiva e comparsa di tosse secca. In questo caso l’interstizio polmonare viene coinvolto da un processo infiammatorio che tende ad evolvere in fibrosi. La diagnosi si basa sul riscontro di caratteristici crepitii all’auscultazione del polmone e sui reperti rilevabili alla radiografia del torace. Nel sospetto di un’interstiziopatia polmonare vanno anche eseguite le prove spirometriche e la Tomografia Assiale Computerizzata (TAC) del polmone ad alta risoluzione. Le prime vanno completate con il test di diffusione del monossido di carbonio (CO) e danno utili informazioni anche sull’entità della compromissione della funzione respiratoria. La TAC ad alta risoluzione è invece fondamentale per distinguere i quadri polmonari in cui prevalgono gli aspetti flogistici, sensibili alla terapia, da quelli dove invece vi è una prevalenza di fibrosi, quest’ultima scarsamente sensibile alla terapia medica. Può essere utile eseguire anche la scintigrafia polmonare con gallio e la broncoscopia con esecuzione del lavaggio broncoalveolare. Quest’ultima manovra, molto meglio tollerata di quanto possa sembrare, prevede, sotto guida broncoscopica, l’immissione negli alveoli e la successiva raccolta di un liquido su cui possono essere eseguite numerose indagini: la conta delle cellule infiammatorie, la ricerca di batteri, virus, etc. La prognosi della polmonite interstiziale dipende dall’entità della fibrosi, essendo questa molto meno sensibile alla terapia rispetto alle forme con prevalente componente infiammatoria che invece rispondono bene al trattamento con cortisone ad alte dosi e con immunosoppressori. L’emorragia polmonare è un’evenienza di raro riscontro (inferiore all’1% dei casi). I sintomi sono febbre, tosse, dispnea ed emissione di sangue (emottisi) con l’escreato (catarro). Ci può essere una rapida evoluzione verso un’insufficienza respiratoria grave chiamata

sindrome da distress respiratorio acuto. La diagnosi si basa sulla radiografia del torace e sul rapido sviluppo di una grave anemia (dovuta alla perdita di sangue dai polmoni); può essere utile eseguire una TAC del polmone. Va poi eseguita la broncoscopia con lavaggio broncoalveolare, specialmente per distinguere questo quadro clinico dalle infezioni. La prognosi è severa, nonostante il trattamento con cortisone ad alte dosi o in bolo e con farmaci citostatici. Recentemente è stato proposto l’impiego della plasmaferesi in associazione alla terapia standard. L’ipertensione polmonare grave è di raro riscontro nel LES, essendo più frequentemente di grado lieve. Si associa spesso alla positività degli anticorpi anti-nRNP ed al fenomeno

di Raynaud. Può essere primitiva o secondaria ad una polmonite interstiziale cronica. Decorre molto spesso senza dare alcun disturbo per lunghi periodi. Quando si manifesta, i sintomi più comuni sono dispnea, tosse ed astenia. Importanti per la diagnosi sono la radiografia del torace, le prove spirometriche con il test di diffusione del monossido di carbonio (che si altera precocemente), l’ecocardiografia color-Doppler che consente una misura indiretta della pressione nell’arteria polmonare. L’ipertensione polmonare determina

la sofferenza della parte destra del cuore che si dilata e, alla fine, non riesce più a pompare il sangue come dovrebbe. Nelle ipertensioni polmonari la prognosi non è sempre buona anche se recentemente è

stata introdotta una nuova terapia che sembra essere molto efficace; nei casi più gravi, una prospettiva terapeutica potrebbe essere rappresentata dal trapianto polmonare. L’embolia polmonare si manifesta quando piccoli emboli (materiale ematico, coagulato, di dimensioni spesso microscopiche) si staccano dai trombi, che nella maggior parte dei casi si formano dalla coagulazione del sangue nelle vene degli arti inferiori, e arrivano, attraversando il cuore (atrio e ventricolo destro), al circolo polmonare dove si fermano impedendo il passaggio del sangue nei piccoli vasi. In rapporto alla grandezza ed al numero degli emboli la sintomatologia può essere acuta con dolore toracico localizzato in un punto preciso, febbre e mancanza improvvisa di respiro (dispnea improvvisa), oppure subdola con dolore toracico più diffuso e lieve mancanza di respiro. L’embolia polmonare, a lungo andare, se non viene curata adeguatamente, può portare

all’ipertensione polmonare. Spesso l’embolia polmonare si manifesta nei malati con positività per gli anticorpi

antifosfolipidi, che si associano appunto a trombosi venose e/o ateriose e quindi anche a tromboembolia.

La radiografia del torace è senza dubbio l’esame più importante, oltreché di semplice e rapida esecuzione. A seconda dei sintomi clinici, e quindi dell’ipotesi diagnostica, sarà necessario valutare l’esecuzione di altre indagini supplementari, quali le prove di funzionalità respiratoria, la TAC del torace, la TAC del torace ad alta risoluzione, la scintigrafia con gallio, la broncoscopia con il lavaggio broncoalveolare. Raramente è necessario ricorrere alla biopsia polmonare, che può essere effettuata per via transbronchiale (durante la

broncoscopia) oppure utilizzando la videotoracoscopia (introduzione di una piccola sonda con una telecamera all’interno della parete toracica), metodica che consente di essere meno invasivi rispetto all’intervento tradizionale. I sintomi più importanti sono il dolore toracico, la tosse persistente e la dispnea. Il dolore toracico, specie se si accentua con gli atti del respiro, deve indurre al sospetto di pleurite. La tosse può essere presente sia nelle forme pleuritiche che in quelle polmonari, può essere secca o accompagnata da espettorato. In quest’ultimo caso è generalmente espressione di un processo infettivo broncopolmonare. La dispnea deve far pensare ad un coinvolgimento diffuso del polmone, come, per esempio nella pneumopatia interstiziale cronica. Molte delle manifestazioni citate sono l’espressione della malattia stessa. Nei casi di infezione, invece, i fattori di rischio sono rappresentati dalle terapie immunosoppressive, dal fumo di sigaretta, che inibisce l’importante meccanismo di prevenzione dato dall’azione delle ciglia dell’epitelio di rivestimento bronchiale, e dall’inquinamento atmosferico. Nelle forme dovute ad embolia polmonare, i fattori

di rischio sono, oltre agli anticorpi antifosfolipidi, l’immobilità e l’uso dei contraccettivi orali. In molti casi è impossibile una prevenzione primaria (evitare che l’evento si manifesti per la prima volta). La prevenzione secondaria (riconoscimento precoce del coinvolgimento pleuro-polmonare) è pertanto fondamentale. Questa si basa su un’attenta raccolta dei sintomi del malato, sulla visita accurata e sull’esecuzione, quando necessario, degli esami strumentali ricordati in precedenza, tra i quali quelli da eseguire per primi sono la

radiografia del torace e le prove spirometriche integrate dal test di diffusione del monossido di carbonio.

INTERESSAMENTO RENALE

L’interessamento renale è molto frequente in corso di LES e lo si osserva nel 50% circa dei casi. Si può manifestare all’inizio o in qualsiasi momento nel corso della malattia, anche se nella maggior parte dei casi compare entro due o tre anni dall’esordio. Si tratta di un evento importante nella storia naturale del LES poichè rappresenta un aggravamento della malattia e quindi richiede un’accurata definizione diagnostica e, soprattutto, un adeguato intervento terapeutico. I reni svolgono nell’organismo un ruolo molto importante. La loro funzione è quella di filtrare il sangue eliminando le sostanze di scarto, quelle cioè che derivano dal metabolismo dei tessuti (scorie), e trattenendo quelle utili. Ogni rene è formato da tante piccole unità filtranti, chiamate glomeruli, che, semplificando, sono delle membrane dove inizia a formarsi l’urina derivata dalla filtrazione del sangue. Questa viene poi convogliata attraverso una serie di canali di diametro via via maggiore fino alla vescica per essere poi periodicamente eliminata. Nei pazienti affetti da LES l’infiammazione coinvolge proprio i glomeruli, infatti il termine medico correntemente usato per descrivere questa affezione è “glomerulonefrite” lupica. L’infiammazione dei glomeruli determina un’alterazione delle membrane attraverso cui il sangue viene filtrato. Le membrane alterate lasciano passare nelle urine un’abnorme quantità di proteine ed alcune cellule del sangue: globuli rossi e globuli bianchi. La comparsa di proteine, globuli rossi e globuli bianchi nelle urine viene indicata rispettivamente con il termine di proteinuria, ematuria e leucocituria. Nella maggior parte dei casi l’infiammazione dei glomeruli non comporta, almeno inizialmente, una riduzione della funzione di questi che, invece, continuano ad adempiere ai loro compiti in modo pressoché normale. Se però tale situazione viene trascurata, l’infiammazione dei glomeruli diventa sempre più intensa e con il passare del tempo si instaurano delle alterazioni irreversibili (sclerosi) che comportano una progressiva riduzione della funzione di queste strutture. Per questo motivo il riscontro di un interessamento renale è un evento che richiede sempre un’attenta valutazione diagnostica e terapeutica. Al giorno d’oggi esistono protocolli terapeutici che, se applicati in modo corretto ed in tempo utile, consentono di ridurre o di eliminare l’infiammazione renale prevenendo l’instaurarsi dei danni irreversibili e quindi la conseguente perdita della funzione di quest’organo. In alcuni casi l’infiammazione dei glomeruli è così intensa da produrre fin dall’inizio una riduzione della funzione renale. Anche in questi casi, tuttavia, instaurando una terapia adeguata prima che si siano verificati dei danni irreversibili è possibile osservare il recupero di una normale funzionalità renale. I sintomi e i segni che indicano l’insorgenza della glomerulonefrite lupica sono pochi. Essa infatti non determina dolore alla schiena, come molte persone pensano, né causa dolore o bruciore durante la minzione (fare la pipì). La glomerulonefrite inizia generalmente in maniera subdola e possono trascorrere mesi prima che si renda clinicamente evidente. Per questo motivo è importante che tutti i pazienti si sottopongano a regolari e periodici controlli clinici e bioumorali non appena viene diagnosticato loro il LES. Uno dei primi segni clinici è l’aumento del peso corporeo e la comparsa di gonfiore (edema) alle gambe, caviglie e piedi, spesso preceduto da gonfiore alle palpebre al risveglio al mattino, dovuto alla perdita di proteine con le urine. Il gonfiore è forse il primo segno di glomerulonefrite che il paziente nota e riferisce al medico. Altre manifestazioni che possono essere osservate nei casi ad esordio severo sono l’ipertensione arteriosa e l’emissione di urine scure, spesso in quantità ridotta nell’arco di una giornata. Più frequentemente sono le alterazioni urinarie ad annunciare la comparsa della glomerulonefrite lupica. Possono comparire proteinuria (proteine nelle urine), ematuria globuli rossi nelle urine) e leucocituria (leucociti, cioè globuli bianchi nelle urine). In alcuni pazienti le alterazioni urinarie sono modeste e possono essere presenti occasionalmente. In questo caso è indicato uno stretto monitoraggio, ma non sono necessari interventi urgenti. In altri pazienti le alterazioni urinarie sono persistenti e/o tendono a peggiorare nel tempo. Questi pazienti devono essere sottoposti ad ulteriori indagini per un’accurata definizione del tipo di alterazione renale e per una valutazione del miglior approccio terapeutico. Vi sono vari esami utili per accertare l’esistenza e/o per valutare l’evoluzione della glomerulo nefrite in un paziente affetto da LES:
Esame d elle urine. L’esame delle urine è un test semplice e molto utilizzato che consente di dimostrare alterazioni glomerulari anche lievi. Nel campione di urine vengono ricercate le proteine e le cellule del sangue (globuli rossi e bianchi), tutti elementi che generalmente non sono riscontrabili nelle urine di soggetti normali. Le proteine e le cellule del sangue possono raccogliersi nei tubuli renali (formando degli ammassi di forma cilindrica) ed essere quindi eliminate come “cilindri”. I cilindri urinari, così come le cellule del sangue, sono dimostrabili esaminando le urine al microscopio ottico. Il ritrovamento nelle urine di proteine (proteinuria), globuli rossi (ematuria), globuli bianchi (leucocituria) e cilindri (cilindruria) suggerisce la possibile esistenza di una glomerulo nefrite e indica l’opportunità di eseguire ulteriori indagini.
Esami del sangue. L’esame del sangue è utile per verificare se i reni svolgono la loro funzione in modo corretto. Il dosaggio dell’azotemia e della creatininemia viene eseguito per vedere se le scorie metaboliche sono adeguatamente eliminate dai reni oppure se aumentano di concentrazione nel sangue (in caso di malfunzionamento dei reni). La perdita delle proteine con le urine provoca una riduzione dei livelli di proteine nel sangue che vengono dosati con la protidemia totale. Alcuni studi chimici quali la concentrazione di sodio, potassio e bicarbonati sono utili per verificare eventuali alterazioni del rapporto tra sali ed acqua nel sangue.
Rivestono poi una notevole importanza i dosaggi di alcuni parametri comunemente adoperati per la definizione della malattia. In particolare il dosaggio di alcune frazioni del complemento (C3 e C4) e degli anticorpi anti-DNA nativo sono considerati esami utili per monitorare l’attività della glomerulonefrite lupica.
Esame d elle urine raccolte nelle 24 o re. Gli esami eseguiti nelle urine raccolte nelle 24 ore sono più precisi nell’indicare l’eventuale presenza di una glomerulonefrite lupica. Tra gli esami più importanti vi sono la determinazione dell’esatta quantità di proteine persa nelle 24 ore (proteinuria delle 24 ore) e della quantità di scorie metaboliche presenti nelle urine raccolte nell’arco di una giornata (creatininuria delle 24h). uest’ultimo parametro rapportato alla concentrazione delle stesse scorie nel sangue (creatininemia) dà una buona
misura della funzione renale.
Ecografia renale. L’ecografia fornisce dei dati sulla forma e dimensione dei reni. Questo esame viene generalmente eseguito prima della biopsia renale ed è un’utile guida per la sua esecuzione.
Biopsia renale. Devono essere sottoposti a biopsia renale tutti i pazienti che presentano alterazioni degli esami delle urine o del sangue indicativi di glomerulonefrite. Questa manovra viene eseguita in ambiente ospedaliero. Consiste nel prelievo di un piccolo pezzettino di tessuto renale, eseguito in anestesia locale, pungendo il rene attraverso la pelle della regione lombare con un ago un po’ più grosso di quelli normalmente utilizzati per i prelievi di sangue. Si tratta di una manovra generalmente ben tollerata e che solo raramente può causare delle complicanze, generalmente di lieve entità ed a rapida risoluzione. Il campione di tessuto renale ottenuto con la biopsia renale viene esaminato al microscopio (“esame istologico”). In questo modo è possibile valutare l’entità dell’infiammazione renale e l’eventuale presenza di alterazioni glomerulari, espressione di un danno permanente (sclerosi). La terapia deve tener conto di numerosi fattori. Come ho appena detto il fattore principale è rappresentato dalle alterazioni istologiche; altri fattori da tenere in considerazione sono l’insufficienza renale, l’ipertensione arteriosa, l’entità della proteinuria e dell’edema e le alterazioni sieroimmunologiche quali l’aumento del livello degli anticorpi anti-DNA nativo e la riduzione del complemento (C3 e C4).La glomerulonefrite mesangiale è una forma piuttosto lieve; nei pazienti che presentano questo quadro è sufficiente una terapia con dosi medie di cortisone che vanno poi gradualmente ridotte in rapporto all’andamento clinico e bioumorale. Questi pazienti vanno tuttavia strettamente controllati per la possibilità che tale forma evolva in forme più severe. Le glomerulonefriti proliferativa focale e proliferativa diffusa sono caratterizzate dallo stesso tipo di alterazioni istologiche anche se di diversa entità. Poichè è frequente l’evoluzione della forma focale nella forma diffusa si tende a trattare le due forme in modo simile. Se non viene adeguatamente trattata, la glomerulonefrite proliferativa ha una prognosi cattiva e comporta, nel tempo, una perdita della funzionalità renale in un’alta percentuale di casi. Per questo motivo il trattamento di questa forma di glomerulo nefrite deve essere energico. Si utilizzano i cortisonici ad alte dosi per bocca o endovena da soli o più spesso associati ai farmaci citotossici. La forma membranosa, non è molto frequente e la sua terapia è ancora controversa. Tuttavia anche per questa forma si tende ad utilizzare i cortisonici associati ai farmaci immunosoppressori. Alcuni pazienti (al giorno d’oggi per fortuna pochi), nonostante un appropriato trattamento, possono sviluppare una progressiva perdita della funzione dei reni. Finchè l’insufficienza renale è modesta, è sufficiente mantenere una terapia di supporto (diuretici, antiipertensivi, etc.); quando però l’insufficienza renale diventa grave (insufficienza renale terminale) i pazienti devono essere sottoposti a dialisi.

giovedì 16 settembre 2010

LE ALTERAZIONI DELLE CELLULE DEL SANGUE

Il sangue è formato da una parte liquida, chiamata plasma, che è costituita in massima parte da acqua, proteine e da altre sostanze inorganiche, e da una parte corpuscolata costituita da alcune cellule: i globuli rossi, i globuli bianchi o leucociti e le piastrine. Tutte queste cellule si formano nel midollo osseo, detto appunto ematopoietico (fabbricatore di sangue) a partire da una comune cellula capostipite: la cellula staminale multipotente I globuli rossi hanno la funzione di trasportare l’ossigeno ai tessuti; contengono l’emoglobina,una proteina che può legare più molecole di ossigeno per volta rilasciandole poi facilmente ai tessuti. I globuli bianchi si distinguono in tre gruppi: i linfociti, i più piccoli e con nucleo rotondo;i monociti, i più grossi con un nucleo reniforme; i granulociti che hanno il nucleo formato da diversi lobi. I globuli bianchi costituiscono l’apparato di difesa contro le infezioni. Le piastrine non sono vere cellule, ma porzioni di citoplasma circondate da membrana, emesse da cellule particolari, i megacariociti, che si trovano nel midollo osseo. La loro funzione è di intervenire nella coagulazione del sangue. Nel LES si possono osservare alterazioni a carico di tutti gli elementi cellulari del sangue, globuli rossi, globuli bianchi e piastrine, di tipo quantitativo, come l’anemia, la leucopenia o la piastrinopenia, o qualitativo come le anomalie funzionali degli stessi elementi cellulari. Queste manifestazioni rientrano nell’ambito degli undici criteri di classificazione
del LES, elaborati nel 1982 dall’“American Rheumatism Association” , e sono quindi molto importanti per la diagnosi. Possono essere rilevate mediante un semplice esame emocromocitometrico.

Criteri ematologici p er la classificazione d el LES.

• ANEMIA EMOLITICA: ematocrito minore di 35% con aumento dei reticolociti e/o della bilirubina.
• LEUCOPENIA: numero di globuli bianchi minore di 4000/mm3 in due o più determinazioni
• LINFOPENIA: numero di linfociti minore di 1500/mm3 in due o più determinazioni
• PIASTRINOPENIA: numero di piastrine minore di 100.000/mm3 in assenza di farmaci che possono determinare una riduzione della conta piastrinica.

Le manifestazioni ematologiche del LES sono comuni sia all’esordio che durante il decorso della malattia. Un’anemia o una leucopenia possono essere osservate nel 50% circa dei malati di LES, mentre la piastrinopenia è meno frequente (circa il 14,5%). Un’anemia nel LES può essere riconducibile ad un meccanismo che coinvolga o meno il sistema immunitario. Nel primo caso ritroviamo le anemie emolitiche, caratterizzate dalla distruzione dei globuli rossi, dovute a processi autoimmuni o a farmaci, e l’anemia perniciosa, dovuta ad un deficit di Vitamina B12 e/o di folati. Nel secondo caso sono comprese le forme di anemia dovute per esempio ad una malattia cronica, ad una deficienza di ferro, ad un deficit di funzionalità dei reni, all’assunzione di farmaci, ad un aumento delle dimensioni della milza (splenomegalia) o ad una ridotta funzione del midollo osseo. I meccanismi che determinano una leucopenia possono essere anch’essi dovuti a processi autoimmuni, a disfunzioni del midollo osseo, a distruzione periferica o a reazioni da farmaci.
Una piastrinopenia può essere invece dovuta ad un difetto di produzione di piastrine da parte del midollo (dovuto a farmaci o, più raramente, ad un ridotto numero dei precursori degli elementi piastrinici a livello del midollo osseo), ad un’anormale distribuzione delle stesse nell’organismo (per esempio in corso di splenomegalia congestizia queste possono venir “sequestrate” dalla milza), a una diluizione eccessiva del sangue (in seguito a infusione massiva di prodotti ematici o a plasmaferesi) o altrimenti ad una distruzione anomala delle piastrine nella milza. L’anemia deve essere sospettata in caso di pallore della cute e delle mucose. Il pallore va ricercato preferibilmente a livello delle mucose o del letto ungueale, mentre a livello
della cute, soprattutto del volto, lo stato di vasocostrizione o dilatazione dei capillari superficiali può rendere l’esame meno affidabile. Un altro aspetto dell’anemia sono i disturbi cardiocircolatori, determinati dall’aumento della frequenza cardiaca volto a bilanciare la minore capacità del sangue di trasportare l’ossigeno ai tessuti, per cui il malato potrà avvertire una sensazione di cardiopalmo, calo della pressione arteriosa e difficoltà a respirare. La scarsa ossigenazione dei tessuti sarà responsabile della debolezza,
che non è solo fisica ma anche mentale, tale da costringere il paziente a limitare la propria attività, in quanto i meccanismi di compenso possono essere sufficienti a riposo ma non dopo sforzi più o meno intensi. In particolare la ridotta ossigenazione cerebrale potrà determinare altre manifestazioni cliniche dell’anemia quali le vertigini, il mal di testa, le sensazioni di svenimento, i ronzii e i disturbi visivi. In alcuni casi, come le anemie emolitiche (autoimmuni) caratterizzate dalla distruzione dei globuli rossi principalmente a livello della milza, può comparire anche l’ittero, una particolare colorazione giallognola della cute e delle mucose, spesso associata ad emissione di urine scure. La leucopenia e la linfopenia non sono caratterizzate da segni clinici specifici ma possono essere presenti nelle fasi di attività del LES. Al contrario un aumento dei globuli
bianchi è presente in corso di infezioni o di terapia corticosteroidea.In genere la piastrinopenia è asintomatica, ma al di sotto dei 50.000 elementi/ml può comparire la porpora, ovvero la fuoriuscita di globuli rossi dai vasi sanguigni della cute con la formazione di petecchie (piccole emorragie, rotondeggianti, non rilevate sul piano cutaneo, non pruriginose e non dolenti) o di ecchimosi (chiazze emorragiche di grandezza
e forma variabile a margini sfumati), eventualmente associate a manifestazioni emorragiche (per esempio epistassi, emorragie gengivali e genitali), particolarmente gravi se colpiscono il sistema nervoso centrale. Le manifestazioni cliniche della piastrinopenia nel LES sono quindi generalmente simili a quelle riscontrate nella porpora trombocitopenica idiopatica che a volte può precedere il LES, o più raramente associarglisi. Altre volte, seppure più raramente, al LES può essere associato il quadro di una porpora trombotica trombocitopenica (PTT), caratterizzata da una sintomatologia che comprende febbre, porpora trombocitopenica (cioè dovuta ad un ridotto numero di piastrine), anemia emolitica microangiopatica (dovuta alla rottura dei globuli rossi quando passano nei capillari), alterazioni neurologiche e renali. Infine è da sottolineare la possibile associazione della piastrinopenia con aborti, trombosi e positività degli anticorpi antifosfolipidi, che configurano il quadro di una sindrome da anticorpi antifosfolipidi in corso di LES. Le alterazioni ematologiche hanno una notevole importanza non soltanto da un punto di vista diagnostico ma anche perché rappresentano degli elementi utili per valutare il grado di attività della malattia, tanto che sono stati impiegati insieme con altri parametri, nella costruzione di indici clinici utili per seguire il malato nel tempo. Alterazioni come la leucopenia e la linfopenia possono infatti essere rilevate soprattutto nei malati di LES in fase attiva. Una leucopenia nel LES può far pensare ad un aumento dell’incidenza delle infezioni, visto che i globuli bianchi sono le cellule deputate alla difesa dagli agenti infettivi, tuttavia questo generalmente non succede se non in presenza di altri fattori predisponenti (come per esempio la neutropenia). In rapporto all’attività di malattia, la piastrinopenia permette di dividere i malati di LES con questa manifestazione in due gruppi: il primo gruppo comprende quei malati che presentano questa
manifestazione ematologica solo durante le fasi di riacutizzazione grave della malattia con compromissione a livello di più organi ed apparati; il secondo gruppo è invece rappresentato da quei pazienti che cronicamente presentano una riduzione del numero delle piastrine generalmente associata a riacutizzazioni di grado più lieve. Pertanto la piastrinopenia può essere considerata un utile indice di attività di malattia, senza che, peraltro, vi sia un’aumentata tendenza al sanguinamento. Come già ricordato precedentemente,
la piastrinopenia è stata infine descritta come una delle manifestazioni della sindrome da anticorpi antifosfolipidi, sia questa associata o meno al LES. Se si tratta di un’anemia secondaria ad una malattia cronica (dove possono essere implicati numerosi fattori come alterazioni del rilascio del ferro, deficit di sostanze come l’eritropoietina che stimola la produzione dei globuli rossi, inibitori della produzione dei
globuli rossi) il trattamento è diretto verso la malattia di base associato eventualmente all’assunzione di ferro. L’eritropoietina è utile in caso di anemia legata a insufficienza renale cronica; nei malati di LES viene utilizzata quando la malattia non è in fase attiva. Se si tratta di un’anemia perniciosa associata a LES è necessaria la somministrazione di vitamina B12, acido folico e di cortisonici. I cortisonici sono altresì estremamente importanti nel trattamento dell’anemia emolitica autoimmune, sono utilizzati alle dosi di 1-1.5
mg/kg/die, preferibilmente, all’inizio della terapia, per via endovenosa, con successive riduzioni del dosaggio dopo almeno 4-6 settimane, valutando la risposta clinica e di laboratorio con particolare riguardo al numero dei reticolociti (precursori dei globuli rossi), utile per controllare un’eventuale ripresa del processo emolitico. Nei casi severi e rapidamente progressivi di anemia emolitica autoimmune, i cortisonici possono essere impiegati in boli endovenosi da 1g/die per tre giorni consecutivi, passando successivamente ai dosaggi convenzionali, mentre nei casi ancora resistenti si può prendere in considerazione l’impiego dell’azatioprina, del danazolo, della plasmaferesi o delle immunoglobuline ad alte dosi per via endovenosa. Una piastrinopenia marcata (<50.000/mL) necessita del trattamento con cortisonici alla dose di 1-1,5 mg/kg/die di prednisone che determina una risposta clinica nell’arco di 1-8 settimane. Il cortisone previene il sequestro delle piastrine rivestite da anticorpi a livello della milza; questo tipo di terapia è stata infatti anche definita come “splenectomia medica”. La splenectomia chirurgica o asportazione chirurgica della milza, che elimina definitivamente il sito più importante di distruzione delle piastrine e della formazione di anticorpi antipiastrine, andrebbe riservata ai casi in cui la terapia con il cortisone, o con farmaci quali l’azatioprina, la ciclofosfamide, la ciclosporina, il danazolo o le immunoglobuline, perché risultata inefficace o gravata da importanti effetti collaterali. Le trasfusioni di sangue, se possibile, dovrebbero essere evitate nei malati di LES, non solo per i rischi di epatite o altre malattie infettive (peraltro al giorno d’oggi estremamente ridotti), ma anche per il fatto che i malati di LES, proprio per le alterazioni del loro sistema immunitario, possono sviluppare anticorpi verso i globuli rossi provenienti da altri soggetti compatibili per il gruppo sanguigno. Pertanto le emotrasfusioni dovrebbero essere riservate solo a quei casi di emorragia acuta massiva o nei pazienti sintomatici (cioè che accusano i disturbi descritti all’inizio di questo capitolo) con livelli di emoglobina inferiori ai 6 g/dl.